Stampa questa pagina

Coronavirus: la rabbia e l’orgoglio

Scritto da  Jacopo Bononi Giovedì, 02 Aprile 2020 09:26

 

L’Italia che vorrei è un’Italia che si oppone alle Italie in cui non mi riconosco: un’Italia ideale. Un’Italia coraggiosa, dignitosa, seria, un’Italia che non si consegna al nemico. Che non si lascia intimidire da chi spalanca le porte al nemico, che non si lascia ricattare o rincretinire dalle bestialità dei Politically Correct. Che va fiera della sua identità, che saluta la bandiera bianca rossa e verde mettendo la mano sul cuore non sul sedere.
Così la grande scrittrice e giornalista Oriana Fallaci ebbe a scrivere nel suo libro di maggior successo, parte di una trilogia, che appunto si intitolava ‘La rabbia e l’orgoglio’ (Rizzoli, 2001) che le venne dalla emozione dell’attentato alle Torri Gemelle.


Se fosse qui con noi avrebbe un moto di rabbia ed orgoglio non molto dissimile da quello che ebbe per il feroce atto terroristico che segnò un’epoca culturale e politica.
Allora come adesso si mise difatti in forse un insieme di valori e di certezze che ci avevano accompagnato per decenni dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale e si provocarono incertezze composite, certo di più che nella successiva crisi del 2008, nata sempre negli Usa e che ebbe poi riflessi in tutto il mondo economicamente sviluppato, ma che colpì meno la sfera emotiva.


I fatti che in poche settimane sono accaduti, sono ancora così vicini a noi per cui una razionale disamina risulta difficile.
Tuttavia alcuni punti sono chiari.
Si assiste per lo più ad un conflitto concettuale e strategico da parte del mondo politico e a frizioni di vario tipo che i media continuano a propinarci: fermare tutto, ma non troppo.
Garantire il distanziamento sociale, ma cercare di non provocare una crisi economica e produttiva senza precedenti dal dopoguerra.
I segnali prudenziali del lento apparente rallentare della pandemia ogni giorno si accompagnano a ricette più o meno coerenti tra loro che si muovono tutte all’interno dell’assioma: laddove la spinta propulsiva del sistema economico si ferma è lo Stato che deve intervenire. Lo Stato infatti deve agire in modo massiccio sull’economia, almeno per il prossimo semestre.


L’evidenza di queste tempistiche si evince tra le righe di tutti i teorici prognostici degli scienziati che si esprimono sui tempi della durata del fenomeno: ognuno di loro si esprime sulla positività del rallentamento dell’epidemia, utilizzando eufemistiche espressioni e arrampicandosi sugli specchi della necessità di offrire speranza.


Dall’altro capo del filo c’è la quotidiana attività statistica, edulcorata per necessità, dei relatori della Protezione Civile che si sforzano ogni sera di citare come secondari i dati sui morti quotidiani, sempre sopra i seicento al giorno. Una strage.
I medici sul campo si trovano ad affrontare una epidemia mai vista e che loro stessi ammettono fuori da ogni calcolo previsionale sia in termini qualitativi e sia in termini quantitativi.
Lo stesso Mario Monti ad esempio ammette che la situazione attuale è molto peggiore della crisi del 2008 e che allora ad esempio la Grecia ebbe modo di essere considerata colpevole dei suoi guai e che questo pregiudizio verso gli stati del sud Europa sembra persistere, ma continua nella sua visione prudenziale e molto meno coraggiosa del collega Mario Draghi. Il lupo perde il pelo….


In questo continuo alternarsi di posizioni più favorevoli ad un indirizzo politico improntato ad una strategia di ‘helicopter money’ tesa a dare soldi a pioggia alle aziende e ai privati ed di altre che continuano, di fronte a questo abisso che sembra delinearsi, a predicare prudenza, l’assenza più grande sembra proprio quella dello Stato.
Se il prossimo DPCM non sarà molto più radicale e concreto del precedente, per il quale le garanzie dei lavoratori sembrano essere appese alla burocrazia dell’INPS e dei suoi PIN che, pensate bene, per ottenerli bisogna attenderne la seconda parte in Posta nell’epoca di internet, ossia come chiedere di spedire una PEC via fax, allora sarà un vero disastro.


Timidi accenni a interventi molto più rivoluzionari vengono fatti da altri economisti che invocano per il Bel Paese un ‘semestre bianco’, ossia un periodo di sei mesi senza più tasse da pagare, affitti da pagare e stipendi da garantire per le imprese e danari direttamente bonificati sui conti correnti dei lavoratori, sostenendo forse a ragione che quello che si spenderebbe oggi sarebbe risparmiato domani, in una ricostruzione economica altrimenti impossibile.


Non sappiamo se sei mesi potranno bastare in realtà, poiché il blocco totale delle produzioni e di ogni attività economica, avvenuto così in fretta, rischia di creare una onda di ritorno sul tessuto economico globale senza alcun precedente nella storia, essendo il mondo economico planetario completamente interconnesso.
Per sopravvivere il sistema economico europeo inoltre deve promuovere uno slancio verso quelle posizioni non prudenziali che ha sempre combattuto dall’introduzione dell’Euro: espansione in debito.
Questo limita e rallenta ogni atto europeo ed ha bloccato le recenti richieste del Governo che ha dato i famosi ‘quindici giorni di tempo’ per decidere: ‘sennò faremo da soli’.


Il riflesso di questa già evidenziata inerzia potrebbe ricadere anche sulla nostra piccola economia stagionale e quando si legge di ‘ricchi imprenditori elbani che tutto sommato una stagione così la sopporterebbero’ forse non si tiene conto di come invece una così epocale stagnazione dell’economia del turismo mondiale, specie di quello straniero verso l’Italia, potrebbe mettere in ginocchio quella citata imprenditoria, da anni vessata da un sistema fiscale esoso e da margini di guadagno sempre più ridotti per l’incontenibile livello dei costi gestionali.
La crisi che si sta abbattendo sulla compagnia di navigazione che ha il monopolio sull’isola, di certo, non esprime positivi auspici, ponendo anzi anch’essa ulteriori ipoteche sul rilancio anche della stagione 2021, non solo su quella presente.


Insomma nulla di meglio ci viene alla mente di queste parole di Giovanni Guareschi, che scrisse: ’Bisogna sognare: aggrapparsi alla realtà con i nostri sogni, per non dimenticarci d'esser vivi. Bisogna sognare: e, nel sogno, ritroveremo valori che avevamo dimenticato, scopriremo valori ignorati, ravviseremo gli errori del nostro passato e la fisionomia del nostro avvenire'.
Facciamolo, aggiungo io, ma coi piedi ben piantati per terra.

Jacopo Bononi

Vota questo articolo
(0 Voti)