Chi è già negli “anta” (ahimè) ricorda che fino agli inizi degli anni '90 quasi ogni paese elbano, sicuramente tutti quelli orientali, aveva uno o più negozi che vendevano minerali, come souvenir. Oggi sono spariti quasi tutti, dato che il nuovo commercio sembra poggiarsi sull'artigianato locale (a dirla tutta, est-asiatico, ma sorvoliamo). Inizialmente gran parte dei minerali venduti venivano dalle cave elbane, mentre negli ultimi anni erano ormai di importazione.
I minerali provenienti dalle miniere elbane erano in larga parte asportati dai cavatori. Se dal punto di vista industriale erano infatti scarti (veleno per l'altoforno, me li descrisse un operaio), dal punto di vista mineralogico molti erano meraviglie, da far fare follie a collezionisti e musei pur di averli. Nelle case di alcuni cavatori ho visto campioni di straordinaria bellezza e precisione geometrica naturale, che non avrebbero sfigurato in collezioni di altissimo livello. Da bimbo ricordo che alcuni cavatori mi facevano dono di qualche pezzo: piccole cose per loro, ma che oggi avrebbero un certo costo in un negozio.
Ma non c'era solo un aspetto disinteressato, per così dire. Perché l'Elba stava vivendo il boom turistico, e tutti volevano cogliere le opportunità che esso offriva. Così i cavatori raccoglievano, spesso in grande quantità, quegli "scherzi" della terra, come li chiamavano (mentre oggi vengono chiamati fiori della terra, con una poesia che i nostri rudi eroi non avevano certo), per venderli a quei negozi che li smerciavano in abbondanza ai numerosi turisti.
Va detto senza abbellimenti: essendo frutto del sottosuolo di terreni demaniali, quei minerali erano proprietà dello stato. L'appropriazione e il commercio erano dunque illegali. Ma voglio essere chiaro: questo capitolo non vuole essere un giudizio morale, ma un altro aspetto che non può essere taciuto in quest'epica degli ultimi. Come abbiamo detto più volte: la vita dei cavatori imponeva scelte sacrificanti, spesso anche della propria morale. A un lavoro che era sacrificio e privazioni, molti rispondevano con appropriazioni indebite, viste dal loro punto di vista come innocenti indennizzi.
A questo proposito, lasciamo in sospeso il tema minerali, e facciamo un passo indietro. In un articolo, Pilade del Buono scrive che, durante la gestione della Banca Generale (1881-88), gli impiegati delle miniere si facevano fare i mobili con materiale e manodopera dell'azienda, così come i capiposto facevano per i lavori nelle loro campagne. Anche i cavatori erano accusati, come si direbbe oggi, di timbrare il cartellino per poi assentarsi dal lavoro. Inoltre “si chiudevano tutti e due gli occhi quando essi asportavano picconi, zappe, coffe, polvere ecc.” Del Buono però dava una mezza giustificazione a operai e impiegati, costretti dai magri stipendi.
Essendo molti attrezzi di miniera, come quelli citati da del Buono, impiegati anche in lavori agricoli, è facile capire come molti cavatori li sottraessero alla società per portarseli nei loro orti e vigne.
La polvere da sparo poi era rubata molto probabilmente per usarla in quella passata pratica di pesca illegale con l'esplosivo. A proposito della polvere, va detto che il costo di essa veniva decurtato ai salari degli addetti del brillamento delle mine: questi, oltre a prendersi i rischi di un lavoro pericoloso, dovevano subire anche questo ricatto. Facile immaginarsi che si sentissero giustificati da sottrarne una parte per i loro interessi.
Tra parentesi, a Capoliveri si segnalano anche almeno due casi di utilizzo di esplosivo per confezionare ordigni: uno fu posto in un negozio, un altro fu trovato addirittura in chiesa. Tuttavia si tratta di episodi che esulano da questa ricerca, e probabilmente destinati a restare in gran parte inspiegati, data la scarsità di elementi storici e la mancanza dei testimoni, ormai tutti passati a miglior vita.
Con il Novecento, le migliorie tecniche dell'escavazione portarono all'abbandono di vecchi attrezzi, togliendo quindi ai cavatori la possibilità di appropriarsene. Tuttavia non mancarono furbizie e utilizzo di certe attrezzature per fini personali.
Ma sarà il turismo, come detto, a far nascere la pratica della sottrazione di minerali per rivenderli. Anche in questo caso vale in parte la considerazione di del Buono, che alcuni responsabili chiudessero tutte e due gli occhi. Ma mi raccontavano anche di guardiani molto severi nei controlli. Qualcuno insinuava però che anche i guardiani nei loro turni raccogliessero non pochi minerali da rivendere, come un po' tutti. In queste testimonianze è difficile raccapezzarsi, tanto da avere un'idea precisa del fenomeno e quanti lo praticassero. Forse molti lo generalizzavano più del dovuto in funzione autoassolutoria, sulla famosa equazione tutti colpevoli nessun colpevole.
In ogni caso, chi mi raccontava di averlo fatto, ne forniva una ragione: grazie a quei soldi mi sono comprato il frigorifero, mi diceva uno; ho potuto pagare gli studi ai miei figli, mi diceva un altro; una parte dei materiali di questa casa l'ho comprata con quei soldi; e così via. Come ho già detto, non ne do un giudizio morale (se lo faccia il lettore), ma questo è. Il primo benessere di molte nostre famiglie poggia sulle spalle di chi voleva darci un avvenire migliore. Anche con pratiche illegali. Piaccia o non piaccia.
Andrea Galassi