La salvezza di Dio è offerta a tutti, come ricorda il vangelo di oggi. Però, non tutti l'accolgono come dono. Resistono in ogni chiesa uomini e donne religiosi con la presunzione di meritare la salvezza. Una pretesa autosufficienza che ha una lunga storia e che si può indicare anche con il termine “fariseismo”. Chi è pieno di sé, con un io smisurato, non riesce ad attraversare la “porta stretta” (che indica il passaggio fra due realtà, anche due modi di vita). Per riuscirci occorre sottrarre, togliere ciò che è di ingombro a una vita autenticamente libera, cioè umana (traduzione possibile del termine “salvezza”).
E' un cammino che richiede disciplina. La porta stretta è Gesù, manifestazione del Dio perdonante, che richiede come unica condizione di riconoscersi (tutti) peccatori ed accogliere il perdono gratuito di Dio. In questo modo, l'ingombrante bagaglio (la presunzione, la propria giustizia, il proprio io) resta fuori e avviene il passaggio ad un modo diverso di intendere la vita e di vivere. In questo consiste la salvezza: vivere esperienzialmente la propria esistenza di figlio amato incondizionatamente dal Padre e, perciò, di fratello di ogni essere umano (e di ogni creatura, come sperimentato da Francesco d'Assisi e da altri). Vivere così le relazioni è già vivere l'eterno presente, nell'attesa di quella pienezza propria del compimento del tempo. In definitiva, la larghissima porta della misericordia di Dio è attraversata dall'umiltà, intesa come accettazione della propria creaturalità e dell'amore di Dio, nella gioia della semplicità. L'apostolo Paolo così descriveva ai Corinzi questa esperienza: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10).
Un problema del nostro tempo – e non solo – è la conoscenza (non solo intellettuale, come detto in altre occasioni) del Dio di Gesù Cristo, impossibile se non si ritorna al Vangelo e alla interiorità. “Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno ultimi”. In questo senso, essere primi sul piano religioso è presumere del proprio merito, avendo di Dio e della fede una concezione “ragionieristica” (alimentata talvolta da guide religiose) e, come conseguenza, l'atteggiamento superiore e giudicante nei confronti degli altri (quanti “super-religiosi” non di rado occupano anche i primi posti del palcoscenico sociale e politico?). Ovviamente, la conversione è ribaltare questa visione e assumere quella di Cristo.
Gli ultimi precedono i primi perché sono più prossimi al Cristo che ha scelto di stare dalla loro parte e che ha detto di essere venuto non per i sani e giusti ma per i malati e i peccatori. E gli ultimi riconoscendosi peccatori sono i primi a convertirsi (si legga ad esempio la parabola del fariseo e del pubblicano).
Non è sufficiente, ricorda Gesù, proclamarsi credenti. Il punto discriminante è di lasciarsi avvolgere dalla novità della fede e della salvezza, divenendo creature rinnovate, capaci anche di disobbedire alle tradizioni umane e, talvolta, alle leggi pur di affermare il primato della coscienza. Soprattutto perché, “Per chi ha varcato la porta stretta, non esiste il ricco e il povero, il dotto e l'ignorante, il buono e il cattivo, il libero e lo schiavo, esiste l'Uomo ed esso è il figlio del Padre” (G, Vannucci).
(21 agosto 2022 – XXI Domenica Tempo Ordinario)
Nunzio Marotti
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