“Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così,/ l’estate finiva più nature vent’anni fa o giù di lì”… Così cantava una struggente canzone di Guccini - parlando di un suo amore, ma anche di tante altre cose - ormai quarantacinque anni fa. Tempi diversi, situazioni diverse, età diverse -diversissime, ahimè.
Solo la pesantezza è uguale, e il senso di stanca delusione, e la certezza del tempo trascorso: “La paghi tutta, e a prezzo d’inflazione, quella che chiaman la maturità”.
Il clima di oggi è davvero pesante: non perché chi allora credeva di cambiare il mondo -“Avevo la rivolta fra le dita”- ora ha perduto la sua guerra (non l’ha perduta ora, da quando governano “quegli altri”, che sono gli stessi di allora, meno colti, meno educati, meno gentili). La guerra è stata persa al tempo di Reagan e della Thatcher, e ha continuato a essere persa poi con la destra “moderata” -dei Bush-; e la sinistra evanescente -dei “liberal” Clinton, Blair, Obama-: ce lo ha spiegato ben bene la miliardaria erede di Disney, Abigail Disney, in un’intervista a Riccardo Staglianò su “Repubblica/Venerdì” dello 08 settembre 2023 (mirabilmente commentata da Michele Serra); ed ora è tutto un po’ più chiaro. La “lotta di classe” non c’è più -o così sembra- perché è stata vinta dal capitalismo aggressivo e sempre più impersonale, che è riuscito ad assorbire gli antagonisti classici -“il proletariato”- trasformandolo in “capitale umano”, inglobandolo cioè al suo livello, ma al più basso. Dietro la maschera della tecnocrazia, della “rivoluzione tecnologica”, si è forzata la divaricazione fra “capitale finanziario” e “capitale umano”, tradotta nell’unica unità di misura che tutti capiscono: la disponibilità di denaro, immensa per chi “muove” la finanza e infima, per chi può far fruttare solo le proprie capacità -il capitale umano, appunto-, ahimè sempre sostituibile perché impersonale. E allora restano solo la patetica emulazione -far finta di essere come “loro”: movida, “beni” e gadget inutili (moto, macchine, orologi, tatuaggi, sregolatezza senza genio)-; o la nostalgia -“Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là,/ o per aver quindici anni in meno o avere tutto per possibilità…/ Perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni è tutto chi lo sa,/ a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età”-: sterile compagna con la testa sempre volta indietro. Oppure la disperazione: la dissoluzione sempre pronta a diventare violenza insensata, cieca, l’autoannientamento; nei casi migliori il cinismo “un po’ per celia, un po’ per non morire”, come canta Butterfly, certo in altro senso.
Eppure, a guardarsi d’intorno, da fare ce n’è fin troppo: guerre impossibili fra Stati, guerre alla povertà feroce di interi popoli, guerre dementi per segare i rami sopra i quali siamo seduti -clima, consumi, inquinamenti-. Qualche rara voce si leva a chiamarci alle nostre responsabilità: certo il papa Francesco, con mirabile costanza; ma di qualche giorno fa è l’invito di Raniero La Valle e Michele Santoro a partecipare a un’assemblea a Roma il 30 settembre prossimo per “La pace, la terra la dignità”*, per prendere l’iniziativa prima di essere definitivamente sconfitti dalla stupidità imperante. “Bisogna saper scegliere in tempo,/ non arrivarci per contrarietà”, dice ancora Guccini, che conclude mestamente: “Questa domenica in settembre se ne sta lentamente per finire come le tante, via, distrattamente, a cercare di fare o di capire”. Bisogna saper scegliere in tempo.
Il pensiero corre al libro di Qoelet (3, 1-8): 1 Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo./ 2 C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,/ un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante./ 3 Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,/ un tempo per demolire e un tempo per costruire./ 4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare./ 5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci./ 6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere,/ un tempo per serbare e un tempo per buttar via./ 7 Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,/ un tempo per tacere e un tempo per parlare. 8 Un tempo per amare e un tempo per odiare,/ un tempo per la guerra e un tempo per la pace”.
Ora, come forse non mai, è tempo di esserci.
Luigi Totaro
*Il testo in https://www.serviziopubblico.it