Lui era un perito industriale che veniva da un’altra isola: la Sardegna. La direzione della Ferromin – Miniere dell’Elba lo aveva messo a dirigere la laveria del Bacino dove il minerale di ferro veniva separato dalle rocce e dalle terre comuni. Un impianto che lui vedeva dal salottino di casa, poiché abitava all'inizio di via Lunga, al numero 29, proprio a un centinaio dal macchinario.
Era il giorno di Natale e lui stava pranzando con la giovane e bella moglie, quando la voce di un operaio gli urlò, da sotto la finestra, che al lavaggino c'era bisogno di lui perché l'impianto si era inspiegabilmente bloccato. Lui s’infilò cappotto, sciarpa e cappello, si scusò con la moglie, la bacio e la rassicurò che dopo pochi minuti sarebbe ritornato a casa.
La donna, però, tappò i piatti e rimase in attesa dell'amato sposo. Quando dopo poco udì un grido straziante, capì che quella era proprio la voce di suo marito, tuttavia sperò si trattasse di un ennesimo piccolo incidente, ma cominciò a pregare la Madonna e lo fece nella sua lingua madre: in sardo. Un lembo del cappotto di lui era stato preso dalla grande ruota del macchinario e aveva risucchiato l’uomo nel letale ingranaggio.
Così si moriva in miniera...
I bambini in visita al parco vedono quella ruota senza sapere di quell'incidente mortale avvenuto tanti anni fa, quando non erano nati nemmeno i loro nonni.
Lorenzo Marchetti