Primo appuntamento in pazza della rassegna letteraria Autorə in Vantina, giunta quest’anno alla quarta edizione. Venerdì 14 giugno 2024, alle ore 21:30, nell’anfiteatro La Vantina a Capoliveri tornerà per il terzo anno consecutivo Vera Gheno, accompagnata questa volta dagli interventi di Camilla Moretti, studentessa di lettere.
Sociolinguista, traduttrice e ricercatrice universitaria, Vera Gheno è ormai un’ospite fisso della rassegna, la quale deve alle sue osservazioni sul “linguaggio ampio” il mutamento in schwa del proprio nome (dall’iniziale Autori in Vantina si è passati all’attuale Autorə in Vantina); se non anche, pur se indirettamente, la svolta radicale operata da qualche anno a questa parte riguardo alla scelta dei libri e degli ospiti.
Presenta il suo ultimo: “Grammamanti. Immaginare futuri con le parole” (Einaudi, 2024), ennesima operazione editoriale nata da un precedente monologo teatrale nella quale la lingua e i problemi relativi al suo utilizzo sociale vengono raccontati dal punto di vista di un’innamorata.
Gheno si dichiara infatti “grammamante”, coniando un neologismo in contrapposizione all’iperbolico “grammarnazi” utilizzato dai puristi e conservatori della lingua.
Le parole, per lei, sono entità viventi, capaci di dare e ricevere amore. Non sono “sacre, immobili, immutabili”; così come d’altra parte non lo sono le ormai celebri e simboliche soluzioni proposte per rendere inclusiva la lingua. E infatti, pur sempre preoccupata di riuscire a scrivere “in modo non solo grammaticalmente corretto […] ma anche rispettoso delle persone”, in accordo al modo amoroso e quindi dolce di porsi nei confronti del suo oggetto di studio, Gheno rinuncia in questo libro a “performare correttamente l’inclusività”, evitando che le ricadute del suo discorso diventino “parte della norma”.
Ovvero, il mutamento non deve sostituire una “lista di prescrizioni” a un’altra.
Amore coincide dunque con libertà?
Lei stessa confessa in apertura di non aver abusato di soluzioni formali, spesso “inutilmente farraginose” (quali la forma disgiunta o lo schwa), intese a sostituire l’inesistenza del neutro nell’italiano.
Questo ancora per dire che, al di là di tutto, Gheno prova a consegnarci un libro incentrato, sì, sulla lingua, ma soprattutto sull’amore.
Nel suo discorso, tra l’altro, appare chiara la differenza che passa tra una lingua viva e una morta. Anche se in ogni struttura sociale, lingua compresa, tendenze conservatrici e progressiste sono come due facce della stessa medaglia, che agiscono simultaneamente (aspetto forse leggibile nella stessa definizione di linguaggio ampio data come “l’idea di un universo linguistico in espansione, nel quale non si sostituisce e non si cancella nulla, ma si aggiungono ulteriori modi per esprimersi”).
Non si dà infatti progresso senza opposizione conservatrice, ovvero senza il tempo della riflessione; come non si dà conservazione senza spinta progressista, ovvero senza rottura dei limiti identitari.
Così sembra essere anche nella lingua, luogo di coesistenza di passati, presenti e futuri. Alcuni aspetti si modificano, altri restano immutati, altri ancora oscillano nell’incertezza, tanto che immobilità, potenza e divenire, intrecciandosi e sovrapponendosi, si mostrano a tutti gli effetti come abitanti lo stesso insieme di funzioni.
Angelo Airò Farulla