Sarà a breve in libreria «Procchio. Storia di un paese costiero dell’Elba», scritto da Silvestre Ferruzzi e Angela Provenzali ed edito da Persephone.
Il volume, di 390 pagine, racconta la storia umana ed ambientale della splendida località balneare elbana, unendo geologia, archeologia, natura ed attività umane legate al territorio.
Il testo è strutturato in due sezioni distinte: la «Prima parte» scritta da Silvestre Ferruzzi e la «Seconda parte» opera di Angela Provenzali; in quest’ultima, la ricercatrice procchiese delinea un microcosmo perduto tramite la trascrizione di interviste fatte, dal 2003, agli anziani di Procchio. Tra queste inedite testimonianze spiccano, senz’altro, quelle relative allo sbarco alleato del 1944 e alle truppe coloniali; e fa meraviglia, tra queste testimonianze, quella che descrive, agli inizi del Novecento, delle foche monache a riposo sulla spiaggia sabbiosa di Procchio.
Ecco quindi, nel libro, la descrizione delle cave marittime di marmo cipollino all’Agnone, le colonne marmoree che giacciono sul fondale sabbioso del Cantone, le scomparse dune sabbiose del Tombolo, la fortezza etrusca di Monte Castello, il relitto della nave romana di Campo all’Aia, l’edificio militare della Guardiola, l’«atelier en plein air» dei Pittori delle Dune nel 1950, i ritrovamenti ottocenteschi del raro minerale di stibnite, gli strumenti preistorici in diaspro. E poi i drammatici avvenimenti militari del 1799 per giungere all’efferato Eccidio di Procchio occorso nel 1943, per giungere alla straordinaria descrizione (1963) di Herbert Kubly sulla nascente mondanità turistica tra Procchio e Spartaia.
Nel libro sono comprese alcune preziose fotografie su lastra di vetro – scattate da Aurelio Monteverde il 18 settembre 1925 – che ritraggono Rita Roster Olschki e l’amica Maria Cammarata impegnate nel faticoso trasporto della barca «Undamaris» dalla spiaggia al paese, passando da uno straordinario «canyon» tra le altissime e incontaminate dune del Tombolo.
Il libro contiene infine la descrizione – che fece Mario Foresi nel 1901 – della Casa Vai, un tempo isolata sul promontorio dell’Agnone e divenuta poi metafora del «tempus edax», quella «casetta solitaria della costiera dove visse e morì pochi anni or sono il padre Francesco Del Rosso, vispo fraticello del Monte Argentario, benefattore oscuro e ignorato. […] Fu una vita di santo, la sua. Con l’elemosine fabbricò presso la sua casetta alcune stanze, un ricovero per i malati di quella campagna disabitata, i quali egli medesimo assisteva. Amava la pesca: durante la notte, quando i suoi ospiti dormivano, l’anacoreta discendeva solo solo alla riva, gettava i palàmiti e le tramaglie su una sua piccola barca, ne scioglieva la fune e, saltandovi dentro con l’agilità di uno scoiattolo, si allargava nel buio».