Un lettore mi ha chiesto quanto ci sia di attendibile nella radicata idea che prima del ferro all'Elba si estraesse il rame. Premetto che le mie ricerche si sono in gran parte concentrate sulle miniere di ferro, soprattutto il fattore umano della questione. Posso solo riportare una serie di ipotesi formulate dagli studiosi. Se allo stato attuale è quasi impossibile fare una storia delle prime escavazioni di ferro, peggio che andar di notte è valutare la fase precedente, quando appunto si sarebbe estratto il rame. Si tratta di una questione molto dibattuta, a cui molto probabilmente non arriveremo mai a una risposta definitiva, salvo qualche clamorosa e augurabile scoperta.
Tutta la questione si basa su una fonte erudita controversa, lo Pseudoaristotele, nell'opera “De mirabilibus auscultationibus”, dove si legge: “Si dice che in Etruria ci sia un'isola chiamata Aithaleia nella quale da una stessa miniera prima era estratto il rame, dal quale dicono che presso di loro tutti gli strumenti venivano fabbricati in bronzo, poi non se n'è più trovato e, passato molto tempo, apparve il ferro, il quale oggi ancora utilizzano gli etruschi quelli che abitano il luogo detto Populonia”.
Effettivamente in tutta l'isola sono presenti mineralizzazioni cuprifere. E una cava di rame nativo è stata scoperta anche in anni recenti da Santino Valli, alla Valdinella, sotto il Volterraio. Scrivono Giuseppe Tanelli e Marco Benvenuti: “Si tratta di mineralizzazioni modestissime, che in periodi storici non hanno mai dato luogo ad attività estrattive, ma che, nell'ambito delle economie a piccola scala della prima Età dei Metalli, potevano rappresentare delle risorse di tutto rispetto”. Pur concedendo che i giacimenti elbani di minerali cupriferi potessero essere per l'epoca di tutto rispetto, salta all'occhio l'evidente esagerazione dello Pseudoaristotele, quando afferma che col solo rame elbano i rinaldoniani producessero i loro strumenti di bronzo. Frase che potrebbe addirittura denotare troppo credito dell'autore verso una leggenda. Anche Alessandro Corretti minimizza l'importanza del rame isolano nel complesso minerario, pur non negandone l'estrazione: “La piccola quantità di metallo disponibile suggerisce che lo sfruttamento del rame sull'Elba abbia svolto solo un ruolo supplementare accanto ad altre attività”.
Per quanto piccoli, i principali giacimenti cupriferi dell'isola sono stati effettivamente sfruttati, anche in periodi storici vicini, addirittura agli inizi del Novecento, per esempio quelli di Pomonte e del monte Perone. I resti di estrazione sono ancora visibili, sia in cava che in galleria, come quella di Maciarello. Esistono anche testimonianze del passato di resti di queste estrazioni. Agli inizi dell'Ottocento il viaggiatore francese Arsenne Thiebaut de Berneaud vide in località Stagno, a Marciana Marina, una “galleria molto profonda, la cui terra è ocra cuprica bruna. L'umidità che la penetra fa sì che si trovi la ruggine conosciuta con il nome di verderame”.
In passato, soprattutto nell'Ottocento, si hanno testimonianze di ritrovamenti di scorie di fusione di rame, ed esiste una matrice in pietra per una punta di freccia, anche se di dubbia datazione. Questo proverebbe una passata attività legata alla lavorazione del rame, almeno nella zona di Colle Reciso, dove, nel 1850, l'ingegnere minerario Simonin, segnalava appunto un'antica cava.
Ma, a parte questo, attualmente non esistono tracce di forni o indizi di punti sulla riduzione del rame. Quindi, se anche fosse plausibile l'ipotesi di uno sfruttamento dei minerali cupriferi, molto più dubbia è quella di una metallurgia legata a essi sviluppatasi sull'isola. Potrebbero essere esistiti gruppi dediti all'escavazione, ma in funzione di un'esportazione verso altri lidi. Ipotesi che fu avanzata da Antonio Radmilli: “tenuto conto dello scarso sviluppo in quell'epoca della metallotecnica in Italia, è molto probabile che i gruppi di Rinaldone insediatisi nell'isola d'Elba commerciassero il rame con altri gruppi residenti nella penisola, pur non escludendo l'ipotesi di una diretta fornitura a genti che facevano la spola dall'Oriente all'isola d'Elba”.
È stato ipotizzato che la comunità rinaldoniana riese, che seppelliva i suoi morti nella grotta di San Giuseppe, a poche centinaia di metri dai giacimenti, fosse legata a questa attività mineraria del rame. Ma anche questo non è certo. Di questo avviso è Michelangelo Zecchini: “Il complesso cimiteriale di San Giuseppe, omogeneo solo in apparenza, è lo specchio della pluralità di movimenti e di mire sulle miniere isolane da parte di gruppi umani diversi”. Ma i dati ricavati dallo studio delle ossa degli inumati mostra un basso stress fisico degli individui di quella comunità, cosa che non si addice certo a uomini legati a un duro lavoro come quello del cavatore. Ma non è in contraddizione con un lavoro sicuramente meno pesante come quello del fonditore. Ma, come detto, non ci sono tracce di un'attività fusoria che possa essere connessa alla comunità riese.
In conclusione, questa “epoca del rame”, che è stato ipotizzato coprisse ben tre secoli, dal IX al VII a. C, si fonda su indizi ancora controversi. I dati suddetti però sono ritenuti bastanti a rendere la notizia dello Pseudoaristotele attendibile, come asseriscono con sicurezza Igino Cocchi (già nel 1865) e più recentemente Zecchini, e come ipotesi plausibile i citati Tanelli e Benvenuti. Altri invece li ritengono troppo scarsi per suffragare un'attività, almeno di un certo rilievo.
Andrea Galassi