In una epistola dal Commissario francese all’Elba Jean-Baptiste Galeazzini (già sindaco di Bastia e vecchio prefetto di Liamone, nominato da Napoleone con decreto dell’8 Fructidor dell’anno XI cioè il 26 Agosto 1803) al Consigliere di Stato e Direttore Generale dei Ponti e delle Strade francese dell’epoca si dava notizia dell’esistenza nell’isola di alcuni schiavi negri deportati da Santo Domingo e ivi sbarcati nel giorno 22 del mese Fructidor dell’anno X dalla corvetta La Mutine proveniente da Tolone.
Nell’inizio del mese di Febbraio del 1802, in pieno Consolato, il Primo Console Napoleone Bonaparte aveva inviato a Santo Domingo le sue truppe migliori comandate dal Generale Leclerc, marito della sorella Paolina, allo scopo di reprimere una rivolta di ribelli capeggiata dallo schiavo Toussaint Louverture che era temerariamente riuscito a tenere testa alle truppe francesi. Nei primi di Giugno dello stesso 1802, i francesi riescono finalmente ad avere la meglio anche se a carissimo prezzo. Toussaint Louverture viene arrestato insieme con i suoi generali, portato in Francia e imprigionato a Fort de Joux dove morirà di freddo e stenti nel giro di nove mesi di assoluto e rigoroso isolamento; i suoi ufficiali maggiori vengono deportati in Corsica e parte finiscono nell’Isola d’Elba; gli altri, quelli meno pericolosi, vengono invece reintegrati nel battaglione dei Pionieri Neri. Ecco quindi che un certo numero di questi uomini provenienti dalle Antille e colpevoli di aver aderito alla Costituzione di Santo Domingo sbarcano in Portoferraio per iniziare in un territorio francese ma non metropolitano una vita di prigionia: è il mese di Fructidor dell’anno X, esattamente il 9 Settembre 1802, e sono 24. Lelievre - Commissario del governo francese all’Elba in quel momento - non ha ricevuto alcuna informazione su come considerare questi detenuti: se forzati in senso stretto o detenuti politici. Non ha nemmeno ricevuto indicazioni a quale capitolo di spesa imputare il loro mantenimento. Inizialmente i prigionieri vengono dunque indirizzati al generale Rusca, responsabile della gestione militare dell’isola per poi passare sotto la competenza del Ministero della Guerra.
Le tracce documentali della loro permanenza all’Elba sono praticamente inesistenti: qua e là si trova solo qualche sporadica notizia come ad esempio la nota del commissario Galeazzini per il Consigliere di Stato in cui si dice che i prigionieri haitiani continuano a comportarsi bene e a meritare la stima generale tenendo un comportamento sempre ineccepibile e tranquillo oppure una relazione dalla quale si apprende che 2 degli schiavi giunti all’Elba sono in procinto di raggiungere il Battaglione Nero del Regno di Napoli.
Scarsissime informazioni ma sufficienti a farci ipotizzare che questi detenuti fossero assimilabili a confinati e che avessero una discreta libertà di movimento. Per certo possiamo assumere che rimasero nell’Elba finché la stella di Napoleone non smise di brillare. Poi il 28 Ottobre del 1814 l’Imperatore concesse 150 franchi per le spese di viaggio a ciascuno degli haitiani che avesse voluto lasciare l’isola: alcuni abbandonarono l’isola ma rimasero in territorio italiano e attestandosi in Toscana (vi sono evidenze di questi nelle fonderie di Follonica, nella bonifica delle zone malariche del Principato o a dirigere i primi saggi alla cultura del caffè e del cotone che Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, stava tentando di introdurre) mentre altri invece rimasero in Elba dove misero su famiglia come si evince dai registri degli atti di matrimonio e di nascita dell’isola.
Si auspica il finanziamento da parte delle amministrazioni locali di un progetto di ricerca e indagine volto a rintracciare le tracce dei superstiti dominicani e scrivere finalmente la istoria di questi.
Per chi volesse approfondire si segnalano “Breve storia dell’Elba. Dalle origini al 1860.” di Anna Benvenuti (Pacini editore, Pisa, 2016) e “L’Elba di Pierre Joseph Briot.” (Lo Scoglio 97, Portoferraio, 2012) e “L’inganno dell’Aquila. Negres deportés à Portoferraio.” di Isabella Zolfino (Persephone Editrice, Capoliveri, 2023).
Manuel Omar Triscari