La notizia della morte di Sergio Cioni mi è arrivata con un SMS, nemmeno troppo sicuro. Ho cercato di saperne un po' di più, ma non ci sono riuscito. Non so dove si sono svolti i funerali,e non so chi era presente.
comunque sia andata, non lascerò che un amico se ne vada senza ricordarlo, spero in maniera adeguata. Sergio infatti era una di quelle persone su cui gli aneddoti si sprecavano. Quelli che ho sentito io erano detti quasi sempre con simpatia: le sue fissazioni, le sue escandescenze, le sue depressioni, le sue stranezze. Forse quando qualcuno parafrasava Alternativa Giovane con "Alternativa Cioni" (Sergio era uno dei più presenti nella nostra sede sulla Calata, molto prima che diventasse un elegante luogo di mostre) il sarcasmo prevaleva sull'ironia. D'altronde, la provincia è questo: grande affetto,, ma anche incapacità di vedere oltre.
Io posso dire che Sergio, a modo suo, era la conferma del detto evangelico "la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo". L'ultima volta che l'ho visto, all'ospedale, già molto grave, mi guardava con aria inespressiva, probabilmente sotto sedativo; ma sono riuscito a farlo parlare con una piccola cosa di molti anni prima, ricordandogli un dialogo sulle canzoni che parlano di scarpe (Sergio era un'enciclopedia vivente di musica rock e pop) ; gli dissi che lui mi aveva subito tirato fuori, fra i titoli citati, un classicissimo di Elvis. Il suo sguardo ebbe un piccolo lampo, "Blue suede shoes", disse a fatica, ma sorridendo.
In quello stesso pomeriggio della conversazione musicale , a casa di amici comuni, fra vino, sigarette, e probabilmente qualche canna, il discorso dal cazzeggiamento si fece serio, come a volte succede, e nessuno sa esattamente il perché. Si cominciò a parlare addirittura della sofferenza, del dolore. Del senso del dolore, del suo significato. Se il dolore è lezione di vita, se è fine a se stesso, se ti incattivisce Se riscatta chi lo vive, o chi se ne fa carico. Se è il megafono di Dio per farsi ascoltare dagli uomini, come si dice in "Viaggio in Inghilterra". Oppure se è solo una condizione di vita, da affrontare alla meglio, senza troppe domande, stoicamente. Ognuno diceva la sua, Sergio (che pure era un chiacchierone) taceva e ascoltava.
Poi ad un certo punto, sfruttando una pausa di silenzio, se ne uscì con una frase lapidaria: "Chi soffre, soffre". La reazione immediata fu quasi di fastidio, "che cazzo significa", "non vuol dire niente", "ma lèvati, Sergio". Io restai zitto, e dopo qualche istante mi arrivò l'intuizione (di Sergio), folgorante. Perché l'avevo vista come la potete leggere voi qui di seguito: "CHI SOFFRE, S'OFFRE". Per dire che la vera sofferenza è dono di sé. Un'intuizione semplice, eppure mistica. In quattro parole, c'era il senso della Croce, della Passione, della Sofferenza che conosciamo di più, quella di Gesù Cristo, come offerta suprema per gli altri. Che vale anche per tutti i poveri cristi anonimi che si sono dati al prossimo, magari "i servi disobbedienti alle leggi del branco" che amava De André. A modo suo lo era stato anche Sergio: aveva pagato un prezzo salatissimo al servizio di leva che non voleva fare, fra maltrattamenti. ospedali militari. psicofarmaci . Il suo disagio castigato, disprezzato, deriso, o semplicemente non capito; archiviato con il marchio indelebile di scarto dell'esercito e della società che rimane impresso tutta la vita.
Ma "la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo". Io ho citato Sergio Cioni fra Kierkegaard e Sant'Agostino in un pezzo chiesto dalle suore di Santa Gemma, sulla santa lucchese, un articolo che speravo uscisse su "Famiglia Cristiana",e che invece è apparso solo in un sconosciuto bollettino diocesano,e forse non ce n'è rimasta nemmeno una copia (e io non ho più trovato il "file", perso fra un trasferimento e l'altro).
Non sono mai riuscito a farti la sorpresa che pensavo di fare, Sergio. Ma ci ho provato. E oggi provo a rimediare con queste righe. Tanto lo so che le stai leggendo, in qualche modo, da lassù, come so che stai ricevendo l'abbraccio che non ho potuto darti per l'ultima volta. Ciao Sergio.
Cesare Sangalli