È tempo di scrutini, croce e delizia di ogni insegnante, dal più misericordioso al più sadico. È tempo di, alzare, abbassare, arrotondare, abbonare, limare, ma anche mettere i puntini sulle I, chiudere un occhio, due occhi, tapparsi le orecchie e persino il naso.
Condivido con i lettori e le lettrici questa lettera scritta dal Prof.re Ludovico Arte qualche anno fa, indirizzata all’epoca ai suoi colleghi insegnanti. Io la propongo ad una platea più ampia, che comprende anche le famiglie, e perché no, gli studenti e le studentesse.
Buona Lettura!
Linda del Bono
“Un insegnante si presenta agli scrutini indossando una maglietta con la scritta: “Nella vita si può anche non capire”. Gli chiedo cosa significhi e me lo racconta. Alcuni giorni prima stava parlando di storia in una classe di quattordicenni un po’ vivaci. Alla fine della lezione, chiede: «Ragazzi, è tutto chiaro? Avete capito?». Uno alza la mano: «No, prof, non ho capito. Mi può rispiegare?». A quel punto i suoi compagni reagiscono all’unisono con toni un po’ aggressivi: «Ma come è possibile che non hai capito? È così semplice». «Oh, ragazzi, calma, eh» si difende lui, «nella vita si può anche non capire». Il professore è colpito da quella frase. E, per rafforzarne il valore, la scrive alla lavagna e la discute con loro. Sottolineando che ognuno ha i suoi tempi e che tutti dovremmo rispettare i tempi degli altri, soprattutto quando sono diversi dai nostri. Quella lezione rimane così impressa agli studenti che alla fine dell’anno scolastico decidono di regalare al professore una maglietta con la frase detta dal loro compagno, diventata ormai una sorta di motto della classe.
È una piccola storia di scuola, ma carica di significati. In fondo, in uno studente che rivendica il diritto a non capire è nascosto il senso profondo del nostro fare scuola perché ci ricorda il valore della diversità, l’importanza di tenere conto dei ritmi e dei livelli di apprendimento di ognuno. E testimonia di un piccolo successo educativo perché quel ragazzo ha imparato a difendersi, ad esprimere il proprio punto di vista. Ma racconta anche di un insegnante che lo ha ascoltato e sostenuto, oltre che di una classe che ha compreso così bene la lezione da fare propria quella frase e trasformarla in maglietta.
Ma in questa storia c’è un’altra verità. Nella vita esistono le persone “normali”. Che non sono geni e non hanno talenti eccezionali. A scuola abbiamo tanti ragazzi che si impegnano molto, ma non raggiungono i risultati sperati. Non si diplomeranno con voti alti e non prenderanno la laurea con 110 e lode. Ma non importa. Tutti hanno diritto a stare nella società, ad avere un lavoro, ad essere accettati, rispettati, riconosciuti. Quei ragazzi avranno altre qualità. Ci sono persone eccellenti nel loro campo che sono umanamente insopportabili. E la storia è piena di geni con cui era difficile vivere. Arroganti, antipatici, anaffettivi. Oggi viviamo in un’epoca in cui si tende a esibire i muscoli, a ricercare persone forti, sicure di sé. E invece forse dovremmo ripartire dall’idea che la vera forza si costruisce ricominciando a guardare con simpatia le nostre debolezze. La scuola ha il compito di pretendere il massimo dai suoi ragazzi. Ma deve accogliere tutti, a partire da chi ha difficoltà a capire. Anche perché quelli che ammettono di non capire sono spesso persone migliori di chi è sempre convinto di aver capito tutto.
dal blog “La via si fa andando”
di Ludovico Arte (www.ludovicoarte.it)
Dirigente dell’Istituto Superiore Marco Polo di Firenze