La decisione della Regione Toscana di tornare indietro dalla scellerata decisione di dichiarare l’Isola d’Elba area vocata al cinghiale va accolta con favore ed è il frutto del grande lavoro di informazione, pressione e protesta portato avanti da Legambiente Arcipelago Toscana e dal Comitato eradicazione cinghiali Isola d’Elba, un lavoro del quale alla fine si sono fatti portavoce 6 sindaci elbani su 7 (escluso quello di Porto Azzurro).
Ma, ancora una volta, si sceglie di trattare l’Elba in modo anomalo e il ritorno dell’Area non vocata al cinghiale lascerà intatta la pratica venatoria più dannosa che è stata all’origine e poi ha favorito la proliferazione dei cinghiali all’Isola d’Elba: la braccata.
Un risultato non a caso rivendicato dal presidente dell’Ambito territoriale di caccia (ATC) Carlo Simoni, che ha detto: «Certamente non possiamo che apprendere favorevolmente il fatto che, nonostante sia stato reso non vocato al cinghiale l’intero territorio dell’ATC, sia stata mantenuta anche la forma di caccia in “braccata”, l’unica veramente efficace per contrastare la presenza e l’espansione della specie e che porta con sé risultati, in termini numerici, non raggiungibili dalle altre attività venatorie, in particolare in un contesto ambientale, strutturale e infrastrutturale quale quello elbano».
Purtroppo Simoni dice diverse cose non vere: le trappole del Parco catturano molti più cinghiali di quanti ne uccidano 300 cacciatori elbani e poche guardie provinciali abbattono più cinghiali con la caccia di selezione all’aspetto di quanto facciano le braccate. Inoltre, tutti i più recenti studi sui cinghiali dimostrano che la caccia in braccata stimola l’ovulazione e l’estro delle femmine, destruttura il branco colpendo soprattutto i maschi dominanti e le grosse femmine e favorisce l’accoppiamento di animali che non riuscirebbero a farlo in una situazione normale. Inoltre i cacciatori rivendicano il fatto di non sparare agli animali che invece andrebbero abbattuti per contenere davvero la popolazione: giovani e femmine gravide, che invece vengono catturati in grande quantità con le gabbie dentro il Parco.
Aver consentito la braccata in un’area non vocata è il segno di un compromesso deteriore, non certo dell’aver tenuto conto dell’”anomalia” elbana che, al contrario, ha bisogno di interventi radicali e definitivi.
Quello che stiamo vivendo all’Elba a causa di animali introdotti a scopo venatorio – il cinghiale ibridato e il muflone – è un vero e proprio ecocidio, con la scomparsa e la rarefazione estrema di decine di specie animali e vegetali per la cui protezione nel 1996 è stato istituito il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, una situazione che, con l’estrema siccità che da mesi colpisce l’Isola, si sta ripercuotendo sugli stessi cinghiali e mufloni: vengono segnalati sempre più animali smunti e sfiniti nelle vicinanze di coste e centri abitati, sono aumentati gli incidenti stradali causati da ungulati, i cinghiali assetati e affamati ormai attaccano i pollai e i mufloni devastano gli orti. L’agricoltura, già in difficoltà per la mancanza di pioggia, è ormai ostaggio di questi due animali invasivi ed alloctoni.
L’Area non vocata anomala della Regione è sicuramente un compromesso politico, ma non è quello di cui hanno urgente bisogno la biodiversità elbana ridotta ormai a un’estate silenziosa.
Nell’ultimo Consiglio direttivo del Parco Nazionale, Umberto Mazzantini di Legambiente, rappresentante delle Associazioni ambientaliste, ha chiesto che l’Ente Parco si metta alla testa di un’iniziativa per coinvolgere su questa tematica l’attore protagonista che stranamente non compare mai, in particolare nel comunicato della Regione Toscana, l’ex ministero dell’Ambiente oggi Ministero della Transizione Ecologica, che deve assumersi la responsabilità di difendere davvero la biodiversità che ha deciso di tutelare con l’istituzione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Regione, Parco Nazionale e Comuni devono chiedere a ministero e governo un impegno concreto (anche finanziario) per un progetto di eradicazione, l’unico che ridurrebbe anche la sofferenza infinita di animali diventati ormai solo bersaglio per il divertimento di un pugno di cacciatori sempre più anziani.
La dichiarazione da parte della Regione dell’Area non vocata al cinghiale – anche se anomala – favorisce questo percorso. Ma occorre abbandonare furbate e traccheggiamenti e mettersi davvero al lavoro, con progetti e obiettivi obbligatori, per restituire all’Isola d’Elba la sua splendida biodiversità che è stata divorata da ungulati introdotti dai cacciatori.