Su alcuni articoli comparsi recentemente sulla stampa, si è scritto circa l’opportunità di privatizzare alcuni servizi ad oggi erogati quasi esclusivamente dal servizio sanitario nazionale. Si è ipotizzato addirittura di rendere privata la gestione dell’ospedale elbano, in previsione, a breve, di un suo definitivo smantellamento ipotesi che ritengo a tutt’ora del tutto fantasiosa ed indirizzata solo a confondere le idee su cosa sia veramente utile alla sanità elbana. Il dibattito che si è aperto merita una attenta valutazione senza scorciatoie di carattere ideologico che non producano altro affetto che di accantonare la questione senza un necessario approfondimento, soprattutto alla luce della scarsità delle risorse che non consentono più una gestione dei servizi sanitari a volte così disinvolta da rasentare l’inefficienza o cadere addirittura nello spreco delle risorse pubbliche.
Per ragionare senza ideologismi sulla questione, è necessario partire non da una ipotesi su una utilità generica di privatizzare servizi pubblici, ma dalla necessità di dover salvaguardare il diritto universale alla salute di tutti i cittadini, compresi ovviamente quelli che risiedono in territori altamente disagiati come il nostro, come sancito dalla Costituzione. Connessi alla tutela di tale diritto, devono essere salvaguardati tre principi, quello della universalità, quello dell’equità e della solidarietà sociale. L’universalità significa che tutti i cittadini, indipendentemente dal loro censo, devono avere accesso a tutti i servizi sanitari di cui hanno bisogno in maniera eccellente ed in qualsiasi territorio abitino, equità e solidarietà vuol dire che ciascun cittadino deve concorrere alla spesa sanitaria secondo il proprio reddito e che le zone del nostro Paese più fortunate devono concorrere a soddisfare pienamente quelle più disagiate. Se vengono soddisfatti questi principi allora ha senso introdurre nel nostro ordinamento una partecipazione privata al SSN soprattutto là dove il servizio pubblico fatica a produrre efficienza nella tutela del diritto alla salute. E’ necessario però che l’efficienza sia accompagnata anche e soprattutto da alta professionalità, altrimenti l’interazione fra pubblico e privato non raggiunge l’obiettivo dell’universalità per cui il controllo pubblico sulle prestazione private deve essere attento e rigoroso; e neppure raggiunge l’obiettivo dell’equità e della solidarietà se il costo del privato per il cittadino non sia calibrato sul proprio reddito come lo deve essere per le prestazioni pubbliche.
In tale contesto immaginare di privatizzare gli ospedali ed in particolare un piccolo ospedale come il nostro nella speranza di renderlo più efficiente, mi sembra una chimera, sarebbero troppo onerosi gli investimenti privati ed eccessivi i costi a carico degli utenti anche in proporzione al proprio reddito per un ritorno utile agli investitori, affinché sia garantita universalità ed equità insieme ad efficienza e professionalità. Nel settore della diagnostica e della specialistica viceversa l’interazione fra pubblico e privato, salvi i principi suddetti, è assolutamente possibile perché i costi sono senza ombra di dubbio meno rilevanti; anzi è auspicabile che sia realizzata in modo sempre più ampio per risolvere proprio l’annoso problema delle liste d’attesa ancora di difficile soluzione attraverso convenzioni con strutture che siano però soggette a controlli riscontrabili e di pubblico dominio ed in cui la concorrenza non sia un elemento distorsivo dell’efficienza e della professionalità , bensì costitutivo di esse.
Michele Rampini