Le specie invasive sono una minaccia chiave per gli ecosistemi insulari, ma le isole sono anche una significativa opportunità a livello globale per la conservazione della biodiversità.
Le isole sono hotspot globali sia per la biodiversità che per l’estinzione, anche se rappresentano solo il 5% circa della superficie terrestre, dal 1500 ad oggi hanno subito il 61% delle estinzioni e ospitano il 40% degli vertebrati fortemente minacciati. Specie invasive, in particolare mammiferi come ratti, gatti e capre, sono state introdotte nelle isole dagli esseri umani deliberatamente o accidentalmente, portando disastri ecologici, mangiandosi le specie autoctone fino a estinguerle e danneggiando gli habitat insulari. L’eradicazione completa delle specie invasive dalle isole, spesso osteggiata da animalisti e cacciatori, si è rivelata uno degli strumenti più efficaci per fermare e invertire il danno ecologico ed ecosistemico.
Il nuovo studio “The global contribution of invasive vertebrate eradication as a key island restoration tool” pubblicato su Scientific Reports, di mostra che «L’eliminazione di una minaccia chiave dalle isole – le specie invasive – è stata implementata ampiamente in tutto il mondo con grande successo. Questa azione di conservazione di base è fondamentale per proteggere le piante e gli animali autoctoni, creare la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e fornire co-benefici alle persone».
Lo studio è la prima sintesi di tutti gli eventi di eradicazione dei vertebrati invasivi segnalati nelle isole del mondo e comprende 1.550 tentativi di eradicazione dei vertebrati da 998 isole in oltre 100 anni. Dena Spatz (Pacific Rim Conservation), Piero Genovesi (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA e IUCN SSC Invasive Species Specialist Group) Nick Holmes (The Nature Conservancy); David Will e Stella Hein (Island Conservation); Donald Croll e Bernie Tershy (Università della California-Santa Cruz); Zachary Carter, Rachel Fewster e James Russell (Università di Auckland) Bradford Keitt (American Bird Conservancy), e Araceli Samaniego (Landcare Research), hanno utilizzato il Database of Island Invasive Species Eradications (DIISE), un dataset liberamente disponibile che tiene traccia delle eradicazioni delle isole, e l’analisi ha rilevato un tasso di successo dell’88% e una crescita significativa del numero di eradicazioni dagli anni ’80.
La Spatz spiega che «Il nostro studio ha rilevato che i tassi di successo dell’eradicazione delle specie invasive sono elevati e sono rimasti stabili nel tempo. Questa è una testimonianza del duro lavoro delle persone e delle partnership che cercano di prevenire l’estinzione delle specie e ripristinare gli ecosistemi insulari».
Holmes fa notare che «Sommando questi interventi di conservazione locali, c’è un incredibile impatto globale. Questa sintesi mostra i notevoli guadagni di conservazione che sono stati realizzati collettivamente sulle isole e si basa sul lavoro passato che mostra il beneficio tangibile per la biodiversità».
Lo studio ha rilevato che 8 Paesi – Nuova Zelanda, Australia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Messico, Seychelles ed Ecuador – da soli hanno attuato l’80% di tutte le eradicazioni documentate nelle isole ed evidenzia che «Molti di questi Paesi hanno completato con successo più progetti iccoli, in particolare prendendo di mira i topi sulle piccole isole, e ora si stanno concentrando su progetti di eradicazione più grandi e su una varietà di specie». Island Conservation fa l’esempio dell’atollo statunitense di Palmyra, nelle Line Islands, dove nel 2011 sono stati eradicati i ratti: «L’atollo continua a riprendersi in modo eccezionale: la germinazione delle piantine di piante autoctone è aumentata di oltre il 5.000 percento, due specie di granchi precedentemente non documentate sono diventate abbondanti e gli studi attuali mostrano che i coralli stanno recuperando il territorio perduto nelle lagune dell’atollo». Wegmann conferma: «L’atollo di Palmyra prospera in assenza di ratti invasivi, sia a terra che sott’acqua».
Alle Seychelles, l’ eradicazione è avvenuta con successo su oltre 20 isole, migliorando la biodiversità e fornendo una base per realizzare ulteriori azioni di conservazione, come la traslocazione di specie minacciate.
Will ricorda che «I paesi che hanno ripristinato le isole per decenni sono stati in grado di farlo grazie ai loro investimenti in innovazioni e risorse. Ora stanno guardando a progetti più grandi e impegnativi come quelli in isole con consistenti comunità umane e stanno aggiungendo lavori di ripristino come la traslocazione delle specie, che è possibile una volta rimossa la minaccia delle specie invasive. Questa tendenza riflette la necessità di investire in metodi e approcci che aumentino l’efficienza e superino gli attuali vincoli sociali, etici e finanziari degli strumenti disponibili».
Lo studio ha anche dimostrato che sempre più Pesi stanno attuando eradicazioni, come mai prima d’ora, «Per realizzare i benefici associati alla biodiversità e al benessere umano. La pratica è particolarmente efficace nei Paesi costieri e nelle nazioni insulari, come i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, dove la biodiversità minacciata a livello globale e le comunità umane spesso coesistono e gli impatti delle specie invasive sono esacerbati».
Sebbene l’eradicazione delle specie invasive dalle isole abbia avuto enormi benefici per la biodiversità e gli ecosistemi, le specie invasive sono state sradicate solo da meno del 20% delle isole con specie minacciate a livello globale, il che significa che è necessaria un’azione urgente.
Genovesi fa notare che «Nonostante l’applicazione globale dell’eradicazione delle specie invasive, l’attuale ritmo dell’azione di conservazione è ancora insufficiente per raggiungere gli obiettivi globali di biodiversità e invertire le attuali traiettorie dell’estinzione. E’ chiaro che un maggiore investimento nell’eradicazione delle specie invasive porterebbe a progressi affidabili nel ripristino della biodiversità globale e a beneficio degli esseri umani. Abbiamo bisogno del supporto di accordi e istituzioni nazionali e internazionali insieme all’empowerment della comunità e alla partecipazione all’eradicazione delle specie invasive per raggiungere obiettivi ambientali globali».
I ricercatori presentano alcuni casi di studio:
Isola di San Benito Oeste, Messico. Nell’arcipelago messicano di San Benito, un team di specialisti locali della conservazione del Grupo de Ecología y Conservación de Islas e il governo messicano hanno eradicato una serie di mammiferi invasivi dall’isola di San Benito Oeste, l’unica isola abitata dell’arcipelago, per proteggere questa regione di importanza internazionale e conservare 13 specie di uccelli marini, tra cui l’alca minore di Cassin e la berta nera. Nel 2000, l’isola è stata dichiarata libera da mammiferi invasivi. Nel 2006 la comunità locale ha rilevato un nuovo insolito invasore, il topo del cactus, proveniente dalla vicina isola di Cedros che è stato eradicato nel 2013. Da allora, sono state messe in atto misure di biosicurezza per mantenere lo status di isola mammal-free,
Isola di Cabritos, Repubblica Dominicana. Nel 2013, due specie di iguana minacciate a livello mondiale sono state protette sull’isola di Cabritos attraverso partnership locali e internazionali che hanno rimosso una serie di specie invasive, inclusi gatti rinselvatichiti che mangiavano le giovani iguane e asini e che danneggiavano l’habitat dell’isola. Jorge Brocca, direttore esecutivo di SOH Conservación, spiega che «Grazie al nostro intervento sull’isola di Cabritos, l’iguana di Ricord in via di estinzione e l’iguana rinoceronte in via di estinzione si stanno riprendendo».
Antipodes Island, Nuova Zelanda. Nel 2016 una partnership globale si è riunita per rimuovere i topi invasivi dall’isola di Antipodes per aiutare a proteggere dall’estinzione le specie endemiche e autoctone dell’isola, come i parrocchetti degli
Antipodi e di Reischek. Russel sottolinea che «Il successo su Antipodes Island ha motivato la Nuova Zelanda a perseguire programmi di eradicazione più ambiziosi attualmente in fase di sviluppo, come nella più grande e abitata isola di Stewart, continuando a spianare la strada per l’eradicazione dei principali mammiferi invasivi dall’intera Nuova Zelanda entro il 2050».
Su La Repubblica Genovesi ricorda che «Anche in Italia sono stati realizzati importanti progetti di eradicazione, come la rimozione del ratto dall’Isola di Montecristo, che ha permesso uno straordinario recupero della berta minore, un raro uccello che nidifica al suolo, esponendosi alla predazione di questi roditori invasivi. Ma per proteggere le specie che abitano le nostre isole sarebbe essenziale aumentare il numero di eradicazioni, interventi che invece spesso trovano scarso supporto. Un esempio è il progetto di eradicazione del muflone dall’isola del Giglio, promosso dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano con il sostegno dell’Unione Europea, che potrebbe contribuire al recupero degli habitat unici di questa isola. Il muflone era stato introdotto al Giglio negli anni ’50, quando alcuni esemplari erano stati trasportati dalla Sardegna e sistemati in un recinto; successivamente gli animali sono riusciti a scappare dall’area recintata, creando una popolazione che sta mettendo in pericolo l’ambiente particolarmente vulnerabile dell’isola. Il progetto potrebbe permettere un significativo miglioramento delle condizioni ambientali del Giglio, ma si è scontrato con l’opposizione di alcune associazioni animaliste, che ne ha rallentato il completamento. Lo studio pubblicato oggi evidenzia invece che per tutelare la biodiversità è essenziale promuovere gli interventi di eradicazione, ma per questo bisogna comunicare meglio l’importanza di questo strumento, coinvolgendo le comunità locali e le associazioni ambientaliste, in modo da aumentare il supporto verso questo importante strumento di conservazione».
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