Le tartarughine marine, la cui nascita era attesa giorno e notte da oltre una settimana dai volontari di Legambiente e da centinaia di turisti, sono finalmente uscite dal nido di Lacona, una spiaggia del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e del Comune di Capoliveri, e lo hanno fatto nel modo più spettacolare, anche se non sono mancati i problemi.
Alle 21,45 del 25 agosto si è infatti formato nella sabbia del nido il cratere che di solito (ma non sempre) annuncia la schiusa. Alle 21, 54 le prime tartarughine Caretta caretta hanno iniziato a far capolino dalla sabbia, ma si è subito capito che lì sotto erano in molte a spingere per emergere e presto il piccolo cratere brulicava di piccole tartarughe che hanno iniziato la loro corsa verso il mare che le prime hanno raggiunto alle 22,06, illuminate dalle luci risse delle torce che non le disturbano. Ma le volontarie e i volontari del Cigno Verde si sono accorti subito che qualche tartarughina veniva attratta dalle luci bianche lungo la costa anche se l’intero percorso protetto che le accompagnava verso il mare era schermato da rete ombreggiante.
Alla fine, tra il tifo discreto e la meraviglia di una piccola folla che le aspettava come delle star, ben 81 tartarughine hanno raggiunto insieme il mare – un record almeno per l’Elba - ma lì per diverse di loro sono iniziati i problemi. Infatti, diversi esemplari sono stati riattratti verso riva dalle luci degli esercizi turistici, un inquinamento luminoso costiero fortissimo, tanto che qualcuno ha detto che più che le dune di un parco Nazionale sembrava un lunapark.
Per evitare che le tartarughine si inoltrassero verso le luci costiere, volontarie e volontari le hanno intercettate lungo la spiaggia, riuscendo a far spegnere alcune delle fonti luminose che le ri-attraevano sulla sabbia e usando le torce e i telefonini come una specie di “controluce” per reindirizzarle verso il mare senza toccarle ed evitando loro una morte quasi certa.
Infatti, all’Elba l’inquinamento luminoso costiero si era già rivelato un problema negli anni passati con le schiuse a Marina di Campo, dove molte tartarughine vennero attratte dalle luci del Porto e di stabilimenti balneari, e di Straccoligno, dove una tartarughina finì in una festa di matrimonio attratta dalle luci. Sempre a Marina di Campo, nel 2017 il secondo tentativo di nidificazione della tartaruga Federica fallì perché venne attratta dalle luci dei lampioni, finendo sulla strada asfaltata costiera dove rischiò di essere travolta dalle auto in transito. Un triste destino che purtroppo è toccato quest’anno in alcune spiagge del sud Italia a tartarughine nati in nidi non rilevati e che, attratte dalle luci, sono state investite sulle strade litoranee.
L’inquinamento luminoso potrebbe rivelarsi un problema anche per le altre tartarughine che potrebbero nascere a Lacona nei prossimi giorni e anche nelle altre 4 località elbane interessate dai siti di nidificazione, a partire da Marciana Marina dove le uova sono state depositate in un’area portuale e dove mamma tartaruga era già stata attratta dalle luci dei lampioni finendo per fare il suo primo tentativo di nidificazione (fallito) su una spiaggia di sassi e disturbata e fotografata con i flash da decine di persone.
Legambiente Arcipelago Toscano ringrazia volontarie e volontari che hanno vigilato e vigilano giorno e notte sul nido di Lacona e che hanno impedito che un piccolo miracolo si trasformasse in dramma per decine di piccole e preziose tartarughe marine e invita Parco Nazionale e Comuni – anche in vista dei prossimi rinnovi delle concessioni balneari – ad adoperarsi, anche attraverso incentivi, affinché le luci killer delle tartarughe vengano sostituite con luci turtle-friendly già in commercio.
Anche questo è uno degli obiettivi del progetto europeo LIFE Turtle Nest coordinato da Legambiente e che vede la partecipazione di ARPAT e università toscane e i dati sull’eccezionale e problematica nascita di Lacona confluiscono nel progetto NatNet di Regione Toscana a cui partecipano attivamente le tre università di Pisa, Siena e Firenze insieme all’Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e ad ARPAT.