La storia Nilo Lambardi (Anilo per l’esattezza, classe 1926) e di Oreste Colombo (classe 1932) è la storia di una amicizia fraterna e di una rivalità senza eguali. Tutto insieme, miscelato.
Abitavano di casa alla Consumella a pochissimi metri di distanza.
Ed erano inseparabili, quando uscivano dal guscio lo facevano insieme: per fare colazione al bar, per delle commissioni, per tutto il resto.
Nilo non aveva la patente ed Oreste lo scarrozzava, posteggiando talvolta dove non era consentito, ma esponendo sul cruscotto questo universale pass, scritto di proprio pugno, un monito per i vigili: “Nilo è a prende il caffè”.
Funzionava: il totale delle multe prese per divieto di sosta ammonta a zero.
Quando entrambi avevano a che fare con il Palio remiero però, e a primavera cominciavano gli allenamenti, si cambiava registro e fino al termine della stagione agonistica calavano le tenebre.
Il miglior amico diventava il peggior nemico.
Non è che si guardavano in cagnesco, non si guardavano proprio.
Tutt’al più, si annusavano.
Perché ognuno voleva sapere a che punto fosse l’altro e, eventualmente, cosa stava architettando.
Ed essendo vicini di casa, perfino l’ordinario quotidiano era grottesco.
Anche soltanto il rumore di un martello o di un seghetto di uno, metteva sul chi va là l’altro.
Ogni cosa doveva essere fatta senza che l’altro sospettasse niente: era l’unica regola.
E sulle maniere che usavano per attrezzarsi, riserbo assoluto, lo sanno soltanto loro.
Occorre fare un passo indietro ed inquadrare questa storia, diventata poi rivalità, nel contesto storico in cui è cominciata: negli anni ‘70.
In quel periodo, nel Palio remiero, a dettare legge era la barca di Porto Azzurro dell’Imperia, leggerissima (99 kg) e senza chiglia (pareva un grande guscio di cocco): guadagnava sui giri di boa a discapito della stabilità.
Un gruppo di persone di Portoferraio (Franco Meloni, Loriano Pagnini, Mario Bargellini, Nilo Lambardi e Oreste Colombo) lanciò il guanto di sfida all’armo longonese e fondò la Padulella.
Oreste tra le altre cose, dal momento che era smilzo, oltre che scaltro, faceva anche il timoniere.
Ed è col piccolo bastimento di Oreste, il Papà Buonaiuto, che andarono a disincagliare dalla secca di Capo Bianco (c’era anche Roberto Cecchini, che fece l’ispezione subacquea) un grosso panfilo, ricevendo, in cambio di cotanta destrezza, una cospicua ricompensa.
Questo fatto è tutt’altro che irrilevante ai fini societari poiché, della ricompensa, nessuno si mise in tasca una lira: il capitale, di tre milioni e mezzo circa (lire), fu investito in toto per l’acquisto di una nuova barca, battezzata poi Padulella 1, presso il Mori, un rinomato mastro d’ascia di La Spezia.
Michele Melis
Nelle foto Nilo, Oreste e Franco Meloni e tutto il gruppo (scatto degli anni '70)