Anche se a Genova nel 1989 era tutto pieno, un albergo che non fosse quello della Padulella la Guardiola lo trovò ugualmente. A caro prezzo, però.
Più quattrini, più servizi: c’era anche una piscina galattica, ed i vogatori col timoniere non mancarono di ruzzarci tutto il venerdì pomeriggio.
Tanto Oreste era fuori, impegnato al campo di gara di Pra’ nelle verifiche tecniche: il gatto non c’era, i topi ballavano.
E un uccellino cantò.
Oreste gliela fece pagare il giorno dopo, con una sveglia forzata alle cinque di mattina, perché a detta sua il fisico, colpevolmente in gozzoviglio da turista, si doveva attivare per tempo. C’era da gareggiare.
Quando all’epoca si gareggiava, si gareggiava. E al traguardo talvolta era un rebus.
L’eccezione fu proprio Genova nel 1989: l’ordine di quell’incredibile arrivo, dal primo classificato fino al quarto, fu decretato al fotofinish (elettronico), con la conseguente latitanza di polemiche.
Tirarono le righe, carta cantava.
La regola era quella di andare a sensazioni.
I giudici, sia pur allineati perfettamente con le boe d’arrivo, decidevano ad occhio nudo.
Ad inizio anni ‘80, dopo una gara tiratissima a San Giovanni, le barche del Capo Bianco e dei Vigili del Fuoco giunsero al traguardo appaiate.
Ahi Ahi Ahi.
La vittoria fu assegnata al Capo Bianco. Apriti cielo!
Come da copione, il verdetto non fu incassato tra baci e abbracci, strette di mano e pacche sulla spalla.
Si scatenò il finimondo.
Sbraitava anche chi, con la barca dei pompieri, non c’incastrava nulla: in quel frangente dare addosso ad Oreste era un’opportunità d’oro, un’occasione troppo ghiotta a cui nessuno rinunciò.
Sicché Oreste, strasicuro di aver vinto con margine e quindi infastidito da quell’inutile baccano, rivolgendosi al suo equipaggio chiosò: «Lo vedi? Se c’era l’omo viola tutto ‘sto casino ‘un succedeva».
Lo scandì proprio così: l’omo-viola.
I ragazzi lì per lì rimasero interdetti, ma poi intesero quello che realmente Oreste voleva dire: la moviola.
Oreste era anche questo, a volte andava interpretato.
Un’altra volta, dopo aver trasportato col suo bastimento un carico in continente, si recò, insieme ad altri, a pranzo in una trattoria a Vada.
Ordinarono primo, secondo e contorno. Il contorno erano i fagioli all’uccelletto.
Quando li servirono, Oreste non mosse forchetta, se ne stava impalato.
«Oreste, ma te ‘un mangi?» gli domandò a ganasce piene uno dei commensali.
«Aspetto l’uccellino».
Un altro episodio.
Agli sgoccioli della guerra fredda, a metà anni ’80 (barche di legno, dunque) Oreste ne stava studiando un’altra delle sue.
Non pago di aver già brevettato il timone-siluro ed il bulbo, era sempre in fermento e voleva allungare la barca servendosi di una canoa.
Sicuramente, nel suo cervello, aveva fatto tutti i calcoli del caso: taglio qui, rinforzo lì, buco su, addrizzo giù ecc... e guadagno questo e quello.
Gli mancava però la materia prima, la canoa.
Così al Grigolo, un po’ a chiunque, chiedeva a bruciapelo: «Senti un po’, sai mica se qualcuno vende una canoa?»
Le risposte erano tutte generiche, sul vago, finché una mattina, di venerdì, trovò quello che accese la miccia: «Dé! Ne vende una tizio».
«Uhm! E dove sta?»
«Non lo so, ma l’ho visto ora al mercatino» (in quel periodo il mercato settimanale era dislocato in Piazza della Repubblica).
La reazione di Oreste fu questa, di istinto animale, selvatico, allo stato brado: strabuzzò gli occhi, sputò di lato l’immancabile nazionale senza filtro che gli penzolava dalle labbra, si incamminò a passo svelto e sparì.
Piantò in asso tutti.
Non ci vuole certo uno scienziato per capire dove fosse diretto.
Dal Grigolo a Piazza della Repubblica, tagliando da dietro il Duomo, son quattro balletti.
Ma alla fiera del Palio una canoa Oreste non comprò.
Di quell’invenzione infatti non ne fece di nulla, la corsa allo spazio giunse al capolinea anche per lui.
Nessuno saprà mai cosa Oreste, con quella canoa, aveva in mente di preciso.
Ma non credo sia azzardato sostenere che, a livello di estro, inteso come ardore della fantasia e dell'immaginativa, Oreste Colombo stava alle barche di legno come Wernher Von Braun stava ai missili e alle navicelle spaziali.
A tempo perso Oreste si dilettava col modellismo. Brigantini.
Strano eh? Il suo Papà Buonaiuto cos’era? Un bastimento, un brigantino.
Per fortuna che aveva questa passione: ha lasciato così una prova tangibile della sua creatività.
Se vi capita - dal vivo, le foto non rendono abbastanza, ve l’assicuro - di dare un’occhiata ad uno dei suoi capolavori, rimarrete folgorati, probabilmente.
Per lo meno, a me è successo così.
Perché Oreste non è che assemblava i piccoli, o più o meno grandi, pezzi reperiti a cadenza periodica in una puntuale collana composta da svariate uscite, con tanto di istruzioni. Certo che no.
Oreste, dei suoi brigantini, faceva semplicemente una cosa: tutto.
Ideazione (e Oreste mica trascriveva su carta, ma custodiva tra la tempia destra e quella sinistra), costruzione, assemblaggio, verniciatura, da solo, tutto quanto.
Pezzo dopo pezzo, listello dopo listello, albero dopo albero, pennone dopo pennone, cima dopo cima, vela dopo vela. Latina o aurica che fosse.
Non era inusuale avvistare Oreste nei pressi dei fossi: reperiva lì le cannette piccole (e particolarmente rigide) da cui ricavava i pezzi che gli servivano.
Oreste diceva sempre al suo storico equipaggio: «Ogni gara ha la su’ storia» e, per metter loro coraggio, specialmente quando non vincevano: «Io un omo in bocca a un altro ‘un l’ho mai visto».
Il ritratto che mi rimarrà sempre impresso di Oreste, è il modo in cui lo ascoltava l’ultimo equipaggio che allenò. Un equipaggio femminile, sul finire della prima decade degli anni 2000.
Oreste, più vicino agli ottanta che ai settanta, era sempre sul pezzo e queste ragazze, più che dargli retta, lo veneravano con naturalezza, figuratevi un po’ quant’era magnetico il carisma che emanava.
Continua…
Michele Melis
Didascalia foto
- Oreste.
- Gli storici equipaggi del Capo Bianco.
- Il Capo Bianco 2 in “parata” a Piombino nel 1982.
- Il Capo Bianco 2 in gara.
- Oreste impegnato ad alcune premiazioni.
- Un brigantino di Oreste.
- L’ultimo equipaggio allenato da Oreste.