Una giovane coppia di turisti da una spiaggia della costa ferajese vede stagliarsi la mole massiccia dei forti medicei, lei si chiede cosa sarà quel gigante in muratura, lui, sicuro di sé, fornisce una risposta ai dubbi dell'amata: "E' certamente il Palazzo di Napoleone!".
Evidentemente che sia poco probabile che l'Imperatore si fosse fatto costruire, per il suo breve soggiorno isolano, tutta quella roba, e che non fosse credibile che avesse trascorso i suoi giorni chiuso in una muraglia senza uno straccio di finestra, per il nostro ospite era assolutamente trascurabile.
Ma l'ultima "boutade" napoleonica, puntualmente riferitaci da Cecilia, che quando non è a zonzo per il mondo, monta di vedetta, ci estorce (quasi) una riflessione sul complessivo napoleonare bicentenariesco, quasi manzoniana, che fino ad oggi ci siamo tenuti dentro in una sorta di " lui sfolgorante in solio/ vide il mio genio e tacque/quando con vece assidua/ cadde risorse e giacque / di mille voci al sonito/ mista la sua non ha" (assessore lasci perdere non è roba per lei).
Confessiamo di non nutrire una particolare simpatia per la figura storica dell'autocrate corso, come verso quelle di tutti i populisti che finirono per trasformarsi (da Giulio Cesare a Peron, da Mussolini a Fidel Castro, da Stalin a Berlusconi etc.) in dittatori-sommi sacerdoti del proprio culto, ma è indubbio che ci ritroviamo (sempre manzonianamente definendo) al cospetto di un personaggio che ha lasciato una grande "orma" e che come pochi ha contribuito all'evoluzione del convivere verso la modernità
Siamo pure convinti che la cultura storica anche dispensata in pillole, ridotta a coreografici eventi non faccia mai male, e che anche vulgata da fiction, fumetti, parate di signori e signori in improbabile abbigliamento, romanzi zoppicanti, kermesse goderecce, in fondo finisca per comporre un brodino culturale, una minestrina del sapere che non fa male. E' certo che alla fine di questo bicentenario ci sarà tra i cittadini almeno un pizzico di coscienza storica di più.
Quello su cui iniziamo ad interrogarci è il dopo, è se, "passato il bicentenario-gabbato l'imperatore", gli elbani (e i maggiorenti che li rappresentano), si saranno convinti davvero che puntare sugli sterminati giacimenti storico-culturali dell'Arcipelago si può e si deve, se si vuole dare un impulso nuovo al turismo, nuove aggiuntive motivazioni a visitare l'Elba ed anche a spalmare queste visite nel tempo.
E' un po' come la vicenda del Parco: una trentina di anni fa solo una pattuglia di (contestatissimi) "matti" sosteneva che la sola costituzione del Parco Nazionale avrebbe determinato una crescita di prestigio e della immagine internazionale dei nostri territori, oggi si chiede al PNAT di essere più efficiente, perfino di occuparsi di cose che non gli competono statutariamente, se ne contesta (spesso più a torto che a ragione) l'operato, ma nessuno che conti almeno quanto il due di briscola, nessuno che possa essere valutato come soggetto socialmente rilevante, si sogna di metterne in discussione l'esistenza. Le stesse associazioni di categoria che finanziavano le "oceaniche" contestazioni, che si facevano trascinare nelle invereconde borgheziate, hanno messo la poppa (ed il culo) al vento. Se esiste ancora un "movimento antiparco" esso è costitutito da Mimì, Cocò ed il terzo proverbiale noto elemento.
Sia lode quindi all'Imperatore che ci ha dimostrato che cultura e storia possono far tintinnare i registratori di cassa, ma iniziamo a pensare anche "oltre" Napoleone, magari muovendo dalle "piccole genialità" che il territorio già registra (fra tutte quella delle bimbe archeocolorate delle Grotte è caso paradigmatico).
Ma si punti in alto e si riesca ad usare tutti i cervelli (veri e funzionanti) che questa terra esprime, per la realizzazione di un "Parco Culturale" che inventi, programmi, organizzi una nuova fruizione che costituirebbe una formidabile spinta, e lo si faccia tenendo conto che l'isola è una, al di là e nonostante le sue (perniciosissime) frammentazioni amministrative.
E non si abbia troppa paura (anche qui Napoleone docet) di mescolare il sacro col profano, che a pensarci non è neppur cosa nuova.
Correva se non ci sbagliamo l'hanno 1980, si era inaugurata da qualche giorno l'esposizione dei reperti costituente il primo nucleo costituente il Museo Civico Archelogico della Linguella, sul piazzale a pochi metri la più classica delle sardinate. Bene quella sera accadde un piccolo miracolo: le incredule addette alla biglietteria del "museo" staccarono 740 biglietti .
Come Parigi valeva bene una messa, portare tanta, tantissima gente a frugare con gli occhi nel proprio passato, a scoprire le due più antiche radici, valeva bene una sardinata.
E senza tanta puzza (di pesce arrosto) sotto il naso.