La chiave sta, come in un thriller, nelle ultime pagine, se non addirittura nell’ultima riga. Se fosse un thriller non lo svelerei, ma poiché è un libro-intervista, oso preannunciare… come va a finire. Perché solo sapendo da dove nasce questo libro-conversazione-intervista si può essere più attratti dalla sua lettura, vincendo le comprensibili resistenze (le conosco bene, sono anche mie) a leggere cento e più pagine frutto di una conversazione.
Il libro in questione, edito da Laterza, ha il titolo di Un millimetro più in là. Intervista sulla cultura. L’autore intervistato è Marino Sinibaldi, oggi direttore di Radiotre, per anni inconfondibile voce di Fahrenheit, la trasmissione che dal ‘99 ne caratterizza i pomeriggi; il giornalista che guida la conversazione è Giorgio Zanchini.
“Questo non è un libro” avrebbe voluto chiamarlo l’autore, ispirandosi a Magritte (eccola, l’ultima riga), perché in fondo, come svela nelle ultime pagine, si sente “scisso tra il culto dei libri e la sensazione che nella pagina scritta ci sia qualcosa di rigido, di marmoreo, che non corrisponde all’idea che ho del pensiero e della parola – e in fondo della cultura.” Nei libri, dice Sinibaldi, c’è qualcosa di statico che l’oralità supera, grazie al dialogo e alla possibilità di ascoltare e porre domande, di ricevere pensieri, a volte estorcerli, e poi trasmetterli. E poiché per anni l’autore ha prodotto cultura e letto la società attraverso interviste, a partire dai libri, è interessante conoscerlo in questo suo rovesciamento di ruolo, dove è lui a rispondere alle domande di un altro.
Una vita intrecciata ai libri
Leggere questo libro-non libro, ascoltarne la lunga e ricca conversazione, dove si può riconoscere l'eco della sua voce, è una bella esperienza per chi è curioso del periodo e dei fenomeni che stiamo attraversando e da cui siamo attraversati, per chi cerca di comprendere qualcosa sulla funzione e sul funzionamento della cultura oggi, sul rapporto tra vecchie e nuove tecnologie, su quella Rete globale che è nata di recente e già pervade e invade tutto.
La biografia di Marino Sinibaldi si innesta in quella di una generazione che è stata giovane tra gli anni Sessanta e Settanta, ha sperimentato e usufruito dei pochi anni (“un’eccezione nella storia dell’umanità”) di mobilità sociale, quando i figli di operai e impiegati potevano "diventare dottori” e accedere a ruoli di responsabilità, la generazione che ha vissuto dall'interno i fermenti del '68, e del '69. “Non sono anni felici, sono anni scioccanti: un adolescente nel ’69 si trovava a vedere l’uomo sulla Luna, le lotte operaie più lunghe della storia, la prima atroce strage in tempo di pace. Tutto in meno di sei mesi.”
Ai libri, che in casa sua non c’erano, si è intrecciata da sempre la sua vita. A loro si lega l’uscita da una situazione familiare di marginalità sociale, il primo lavoro di magazziniere che ne ha sentito il peso a quintali, i ventidue anni di bibliotecario, le esperienze in riviste letterarie (Ombre rosse, Linea d’ombra, La Terra vista dalla Luna), la creazione di programmi radiofonici (Lampi d’estate prima, Fahrenheit poi) in cui “si parlasse di libri, ma in cui i libri servissero a parlare di tutto perché dentro i libri può esserci tutto”.
Dall'alfabetizzazione all'impero della tv
La conversazione percorre un’epoca in cui dal 16% di lettori si passa in pochi anni (a cavallo dei Sessanta-Settanta, appunto) al 40, per poi fermarsi in una specie di stagnazione.
“Quando si è avuta un’alfabetizzazione sufficientemente diffusa c’era già li, pronta, la televisione, che ha inghiottito, come un tubo, quasi per intero questo elementare ma evoluto bisogno umano.” In Italia questo accade prima che si sia consolidata e trasmessa una abitudine alla lettura, come invece è accaduto in altri Paesi. E la tv acquisisce subito il massimo del potere, più ampio di quello radiofonico nei periodi di dittatura, rafforzando le tendenze individualistiche della cultura italiana e la prevalenza degli interessi particolari su quelli collettivi. “Siamo sempre stati il paese dell’immaginario. Quando l’immaginario trionfa ci trova già pronti e per nulla disposti a cambiare". Per questo l’impressione dell’autore è che “per la mia generazione spostare l’Italia a sinistra è come spostare l’asse terrestre” e che “abbiamo spostato il baricentro del paese di un millimetro" (impressione da cui ha origine il titolo) e “alle generazioni è arrivato più il segnale del fallimento che quello della speranza”.
La Rete globale: connettere non vuol dire condividere
Via via che scorrono le pagine (ovviamente con molti riferimenti semplici e discorsivi a libri e autori che viene la voglia di leggere o riscoprire), si percorrono i mutamenti dei mezzi di comunicazione, fino all’avvento del digitale, che “a volte appare come un nuovo regno della natura: c’è il minerale, il vegetale, l’animale e adesso anche il digitale”. La Rete, ed è la prima volta che ciò accade nella storia dell’umanità, “tende a configurarsi come il luogo dove tutte le esperienze, da quelle sentimentali a quelle intellettuali, hanno luogo”. E questo, avverte Sinibaldi, comporta nuove forme di irresponsabilità, come il vezzo di liquidare le persone o i problemi in un tweet, una sovrarappresentazione delle maggioranze, un’insensibilità al valore delle minoranze. “Connettere – osserva ancora Sinibaldi, sempre ben stimolato dalle domande di Giorgio Zanchini e dalla forma-dialogo – non significa condividere. Perché nella Rete sei connesso a tutti, non sei prossimo a nessuno”. Siamo al tempo stesso inondati di mondo e isolati dal mondo, come si può osservare guardando con attenzione le persone sole nelle macchine ferme ai semafori, in contatto col mondo intero ben protetti dai finestrini sigillati.
Il nuovo ecosistema di cui facciamo parte sta generando un sapere sconnesso, che favorisce forme particolaristiche e frammentate, in cui sembra smarrita la forma di organizzazione di conoscenze che dava la preparazione umanistica. E in questo contesto cambia profondamente il ruolo dei "mediatori culturali", come i giornalisti, che hanno il compito di "diventare connettitori, indicare legami e relazioni, di arricchire e relativizzare, aiutando a capire le radici anche storiche e geografiche dei problemi contemporanei.
Il libro-conversazione si conclude dove è partito, dal concetto di cultura. "In tempo di populismi e fondamentalismi dobbiamo tenacemente coltivare due pratiche intellettuali minacciate: il dialogo e l'autocritica", mettendo così "in discussione le nostre certezze prima di quelle altrui".
“Fare cultura – sintetizza infine l’autore in una definizione originale e ben comprensibile – vuol dire fare attenzione alle cose belle e intelligenti.” Impossibile, prima e dopo la lettura di questo bel libro, non libro, essere in disaccordo.
Marino Sinibaldi, Un millimetro in là. Intervista sulla cultura, a cura di Giorgio Zanchini, ed. Laterza, 2014, pp. 140, euro 12
Luciano Minerva http://www.elbadipaul.it/