La vallata di Pomonte, la più estesa dell’Elba con i suoi 4 chilometri di sviluppo, accoglie molte importanti emergenze storiche. Tanto per iniziare, il paese medievale di Pedemonte; ubicato a 460 metri sul livello del mare, era il Comune dell’Elba a maggiore altitudine. E poi le piccole chiese del Medio Evo: San Benedetto (parrocchiale dello stesso Pedemonte), San Biagio con il suo probabile piccolo ricovero (Biagio è protettore delle vie respiratorie), la solitaria San Frediano a ben 676 metri di quota e infine la minuscola San Bartolomeo (l’apostolo Bar Talmaj è protettore della salute), anch’essa forse con la secondaria funzione di rifugio per i viandanti. La Chiesa di San Bartolomeo è – con 9 metri di lunghezza – il più piccolo edificio sacro in stile romanico-pisano presente all’Elba. Si trova in un luogo di straordinaria suggestione: la sua unica parete rimasta si erge a 406 metri di quota, alta sul crinale chiamato «Òppito» almeno dal Trecento (in latino «oppidum» significa «cittadella»), dove esisteva anche un insediamento dell’Età del Bronzo.
La tradizione popolare, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, racconta favolose storie sulla Chiesa di San Bartolomeo. Al «Bartolommeo» o «Bartommeo», come dicevano a Pomonte, si sarebbero trovati dei profondi sotterranei con sepolture annesse. Ma non solo. Lassù venne scoperta – così si narra – una favolosa «gallina d’oro» con i suoi pulcini. Un tempo si credeva che ogni antica chiesa avesse, come il Monastero di Montecristo, un «tesoro» murato sotto l’altare; per tale motivo, ancora oggi, al San Bartolomeo si vedono le tracce di vecchie fosse scavate da quei picconi i cui manici, come vuole la tradizione, si spezzavano inspiegabilmente dopo pochi colpi. E questa sarebbe stata, secondo i vecchi, la «maledizione». Resta ancora il mistero della «gallina d’oro». Nella zona, gli antichi manufatti metallici che venivano rinvenuti erano spesso identificati dai contadini come oggetti di tutt’altra natura; ad esempio, le asce di bronzo (VIII secolo avanti Cristo) trovate nella «Valle Gneccarina» di Chiessi furono ingenuamente ritenute le parti di una «corona d’oro» dagli scopritori, come ricordato da Michelangelo Zecchini nel 1970. Altri casi simili, tutti datati più di mezzo secolo fa, non mancano: la «pentola piena d’oro» trovata da pastori di San Piero in una grotticella sul «Col di Paolo», le «croci d’oro» scoperte nell’insediamento delle «Mure», i «pezzi d’oro» che un contadino ritrovò nella vallata di Pomonte e la pretesa «corazza» con incisioni rinvenuta sul pianoro di «Casevecchie» presso San Piero.
Il bronzo quindi, per il suo nucleo giallo-rossastro, veniva probabilmente creduto prezioso oro dai vecchi elbani. Ed ecco, perciò, che la «gallina d’oro» di San Bartolomeo poteva essere in realtà un imprecisato manufatto di bronzo, dai «pomontinchi» assimilato alla forma di un gallinaceo. Ci piace pensare che potesse esser simile, dal punto di vista cronologico, alla serie di manufatti in bronzo (circa del VIII secolo avanti Cristo) rinvenuti poco dopo il 1860 in un ripostiglio della valle di Pomonte e descritti da Raffaello Foresi.
Ma tali ritrovamenti avvenivano da molto più tempo; nella «Descrittione di tutta l’Italia» del 1596, Leandro Alberti scrisse che nell’Elba occidentale venivano spesso rinvenute «urne piene d’artificiosi instrumenti». Queste, con tutta probabilità, erano i corredi funebri di tombe «a cassetta» del IX secolo a.C., come quelle che ancora oggi possiamo ammirare in località «Spino» presso Seccheto, lungo il percorso dell’ecomuseo «Vie del Granito».