Riceviamo e pubblichiamo un testo critico di Gilberto Zacchè sulle opere di Flavio Orsi. Il Pittore terrà la sua mostra personale "Dialoghi con l'Isola" dal 12 al 18 agosto alla sala espositiva Telemaco Signorini
Le vedute elbane di Flavio Orsi
E’ lecito interrogarsi sulla sopravvivenza del “vedutismo” pittorico in un’epoca nella quale la fotografia non solo riproduce esattamente (e assai facilmente) la realtà, ma addirittura “mima” l’arte contemporanea, di cui anzi, più precisamente, rappresenta a tutti gli effetti un settore di punta. La risposta, per noi, è scontata: ebbene sì, ha ancora senso dipingere paesaggi e vedute urbane, nel solco di una nobile tradizione culturale che ha radici antiche, da quando il paesaggio si è emancipato dal fondale dei quadri ed è divenuto soggetto autonomo dell’opera d’arte. Siamo nel solco della storia dell’arte, insomma, una storia che non è affatto finita, come qualche teorico aveva ipotizzato, ma che continuerà fino a quando ci saranno artisti che sceglieranno di esprimersi attraverso tecniche e linguaggi tradizionali e non solo.
L’opera pittorica di Flavio Orsi è facilmente inquadrabile in un ben preciso percorso culturale, già perfettamente delineato in un testo critico di Gianfranco Vanagolli ( pubblicato nel 2011 sulla rivista “Lo scoglio”). Dalla lezione dei macchiaioli (l’artista ama molto Fattori, Signorini, Lega) agli artisti attivi sull’isola dal dopoguerra a oggi, con alcune influenze particolari sulle quali merita soffermarsi. Orsi infatti è pittore autodidatta che si accosta all’arte negli anni Settanta (la sua prima esposizione è del 1977, nell’atrio del palazzo comunale di Portoferraio): deve quindi molto al suo primo maestro, Paolo Bandinelli, solito dipingere en plein air. Ma forte è anche l’influenza di maestri come Gonni (nome d’arte di Iginio Gonich) e di Castelvecchi. La frequentazione dello studio di Franco Cigheri è forse l’elemento che più ha influenzato il giovane Orsi, naturalmente dotato di una buona mano e di una forte passione per il disegno. Orsi si inserisce dunque nella tradizione degli artisti elbani autoctoni (con la sola eccezione di Gonni, di origini istriane), interpreti di un paesaggio fonte inesauribile d’ispirazione. Ma con una particolarità, che rappresenta una sua esclusiva: le vedute notturne della darsena rappresentano, credo, un unicum nel panorama elbano. Infatti, se nelle vedute dipinte en plein air Orsi si inserisce nel filone della tradizione, peraltro con ottimi risultati, egli esprime più compiutamente la propria cifra poetica nei notturni. In questo caso la sua pittura perde il tratto realistico, non è copia dal vero, è frutto di una elaborazione mentale collegata però sempre a un vissuto, a una memoria. Da qui il sapore revivalistico, un po’ retrò, di questi quadri bituminosi, così diversi dai paesaggi urbani luminosi, dalle tinte vivaci, le stesse dei muri di Portoferraio. Il cui centro storico rappresenta il soggetto preferito da questo artista così intimamente legato alla sua città. La figura umana compare raramente ed è un bene perché guasterebbe l’armonia della forma urbis.
Una visita nello studio del pittore riserva anche molte sorprese. Scopriamo così, oltre alle opere già esposte in pubblico, una produzione straordinaria (e insospettata) di disegni, acquarelli e xilografie. Indice di sicura competenza tecnica, acquisita in anni di esercizio. Anche il metodo di lavoro è indice di serietà: Orsi appunta numerosissime annotazioni su un brogliaccio, il che significa che le sue opere sono accuratamente “progettate” e non sono frutto di improvvisazione.
Diremo, ancora, della tecnica, senza la quale la poetica non potrebbe essere espressa. Orsi dipinge col pennello e talora con la spatola, su tavola, trattata con terra di Siena diluita con olio di lino, usando colori a olio. Una tecnica appunto congeniale alle sue esigenze espressive. La sua tavolozza comprende i colori di base, con i quali abbozza il quadro, tra i colori caldi, l’ocra (giallo scuro), la terra di Siena (bruciata e naturale), il bruno trasparente, il blu oltremare , la terra di Pozzuoli (rosso mattone), lacca di Garanza, tra i colori freddi, il verde permanente (scuro) il blu cobalto (scuro), ed infine il bianco di titanio.
Non sembri inutile esercizio di pignoleria la descrizione dei colori usati: aiuta più di tanti giri di parole la comprensione dell’esito artistico (e svela un poco anche i segreti che permettono di raggiungere certi risultati).
Sui soggetti dei quadri non è necessario soffermarsi: le fortezze, le strade, le case, la darsena, sono lì, sotto i nostri occhi. Non dobbiamo cercare la fedeltà realistica, abbiamo detto che l’artista interpreta il paesaggio urbano e ci restituisce la sua visione del medesimo, l’impressione, i colori. Questi sì sempre fedelissimi, come anche la luce e il colore del cielo, così bello quando è bello.
Dal punto di vista estetico il risultato è certamente apprezzabile ma anche la poetica è significativa: i quadri di Orsi non sono fredde “cartoline”, sono vere e proprie opere d’arte che comunicano emozioni. L’attenzione dedicata a Orsi dalla critica e il successo di pubblico certificano la qualità dei risultati raggiunti. Seguiamo il lavoro di questo ormai non più giovane artista da almeno vent’anni e possiamo dire che ha sempre affinato le proprie capacità giungendo a risultati di tutto rispetto che gli assicurano ormai un posto nella rosa dei pittori elbani più significativi.
Zacchè Gilberto