Me lo ricordo – ero un ragazzino – come un alto gendarme marrone, ritto in un angolo della stanza. Un gigante scomposto, con le zampe buttate qua e là. Quella stanza – la sacrestia della Chiesa di San Defendente a Poggio – lo custodì per più di cinquant’anni, quel povero pianoforte a coda dal colore decisamente chiaro, atipico. Ma che ci faceva in quella stanza, tra arredi sacri e reliquiari? La sua storia, abbastanza misteriosa, è datata alla seconda guerra mondiale. Come ricorda Carlo Segnini in una sua pubblicazione, «arrivò sulla Piazza del Castagneto un camion tedesco; scesero alcuni soldati. Questi soldati con grande fatica (nessuno corse ad aiutarli) scaricarono un pesante, bellissimo pianoforte a coda e lo trascinarono nella sacrestia della Chiesa di San Defendente. Non si è mai saputo dove fosse stato preso, chi ne fosse il legittimo proprietario. Alcuni anni dopo arrivò sulla solita piazza un camion italiano, con operai italiani, incaricati dalle suore (credo di Marciana) di prelevarlo. Non ci riuscirono, perché contro di loro si ebbe una vera e propria sollevazione popolare poggese.» Altri vecchi di Poggio, invece, asserivano che il pianoforte era stato requisito in Corsica dai tedeschi, ma ovviamente senza sapere chi ne fosse il proprietario. Dopo molti anni – più di mezzo secolo – il pianoforte venne rimosso dalla sacrestia ed eliminato. Ma per fortuna, quando questo avvenne, io ero là e decisi di guardare meglio quel gigante che stava per essere annientato. Ne staccai l’elegantissima targhetta di fabbrica – un intarsio di ottone su legno – e la conservai. Da questa, quando il gigante era ormai cenere, ho poi avuto modo di conoscerne il passato; era un pianoforte a coda realizzato a Vienna nel secondo Ottocento dalla ditta «Jahn», fondata da Christof Jahn.