Posto che non esistono scienze esatte (neanche quelle “esatte” lo sono fino in fondo), vediamo di aggiungere alcune cose su San Giovanni e sulle Grotte. Sostiene Rossano Pazzagli, storico contemporaneista amico di molti archeologi contemporanei (fra cui il sottoscritto) che storici e archeologi indagano il passato proprio perché fortemente attratti dal presente. In effetti, l’archeologo del nostro tempo, dismessi la paglietta, il bastoncino e il vestito di lino bianco, ma anche il sopracciglio inarcato e il ditino alzato, è intriso di presente. Poche categorie di professionisti amano le reti e le tecnologie come gli archeologi. Nel caso di molti miei colleghi e mio, modestamente, è molto avvertito il desiderio di comunicare quello che facciamo: nelle sedi scientifiche, nei musei, nelle scuole, nelle associazioni, nelle strade, nelle piazze. Qualcuno definisce questa figura di archeologo come “militante” e considero ciò un grande complimento.
La nostra è un’archeologia dei grandi spazi, possibilmente. Diciamo anche che il passato ci piace osservarlo da lontano, possibilmente da un punto che permetta di abbracciare più geografie possibili; poi, certo, servono anche l’osservazione ravvicinata e quella microscopica, ci mancherebbe.
Partiamo da un assunto, anzi da una domanda. La domanda è: “è plausibile che la villa piccola di San Giovanni appartenesse alla famiglia romana dei Valeri?”. Potremmo rispondere: “certamente, questa ipotesi è stata approvata e validata da numerosi colleghi storici e archeologi molto importanti (di chiara fama, mi pare si dica), docenti in prestigiosi Atenei italiani e stranieri, in sedi e riviste scientifiche di altrettanto prestigio…”. Sarebbe una risposta formalmente ineccepibile. Ma a noi non basta. Non è questo il nostro modo di fare ricerca, basato su petizioni di principio, rendite di posizione e inutili paludamenti. Quindi, proviamo seriamente a ricostruire gli eventi utilizzando fonti storiche e documenti archeologici, certo, ma senza confonderli.
I Valerii sono soltanto una delle grandi famiglie senatorie che, dopo aver preso parte alla conquista dell’Etruria, costituirono nei rispettivi ambiti dei poli di interesse economico molto forti, legati al ferro, al carbone e ad altro.
Gli Aurelii, costruttori della importante via consolare fra 252 e 241 a.C., li ritroveremo all’Elba nell’età di Augusto.
Gli Aemilii Scauri, secondo le fonti produttori di carbone su scala industriale (attività molto redditizia in un comprensorio metallurgico), hanno lasciato tracce profonde nella toponomastica locale: la strada chiamata “via regia Emilia” fino alla fine dell’Ottocento; l’area di Rimigliano (da rivus Aemilianus); il torrente Milia; la località di Scabris-Scauris (odierna Scarlino).
C’erano anche i Cornelii ma la cosa va ancora studiata bene.
La presenza dei Valerii sulla costa è dimostrata in forma ipotetica dalla presenza del toponimo “Monte Valerio”, presso Campiglia Marittima (con tanto di documentazione archeologica) e in forma definitiva dalla fornace ceramica rinvenuta fra Follonica e Massa Marittima. All’Elba sono testimonianza molto forte i bolli su dolio e su tegola provenienti sia dalla villa delle Grotte sia dalla piccola villa di San Giovanni, relativi in maniera diretta ad un Valerio Corvino e in maniera indiretta a un loro schiavo-manager di nome Hermia.
Per molti versi, la situazione della rada di Portoferraio è emblematica. Alla fase di intenso sfruttamento delle risorse minerarie e metallurgiche di questa parte dell’Etruria, fra III e II secolo a.C., i Valerii fanno seguire una fase sempre meno manifatturiera e sempre più agraria. La villa di San Giovanni non aveva alcun bisogno di essere monumentale. Le ville di quel periodo, ancora ispirate al manuale di agricoltura del vecchio Catone, privilegiavano il fructus (profitto) e la diligentia (la sapienza agronomica) rispetto al lusso e agli intrattenimenti culturali (luxuria et otia). Prima di pensare a giardini, statue e portici, il giovane aristocratico doveva dimostrare di essere un bravo conduttore di proprietà agricole.
Molte di queste grandi famiglie, fra l’altro, stringevano alleanze dinastiche. Aurelii e Valerii ebbero un ruolo di primo piano, negli stessi decenni centrali del III secolo a.C., nell’espansione romana sia in Etruria sia nella Sicilia occidentale. Non stupisce, dunque, di trovare un giovane Aurelio, discendente di una famiglia nobile ma decaduta economicamente, adottato dai Valerii (il Valerio Messalla più famoso) nei primi anni del principato di Augusto e poi designato erede (della villa delle Grotte in cui ospiterà Ovidio).
Tutto qui.
È poco? No, è molto. E, se è poco, lo è per chi, d’ora in avanti, deve inventarsi delle prove contro. E’ molto per le migliaia (sì, migliaia) di bravi studenti e di bravi docenti delle scuole elbane che hanno visitato gli scavi di San Giovanni. Per le tante persone che hanno fatto la medesima esperienza, per quella fetta di società civile che si è mobilitata perché andasse avanti, nonostante i cronici limiti delle risorse disponibili, lo scavo di una ‘semplice’ fattoria romana. Perché una ‘semplice’ fattoria romana, se ben indagata e onestamente comunicata, oltre a fornire nuovi dati che la comunità scientifica sta già apprezzando, può anche rispondere al crescente interesse della società civile per il proprio passato. Un passato reale e quotidiano.
Penso ai miei giovani collaboratori (quando dico “noi” non è un plurale maiestatis ma è che con loro condividiamo tutto, anche questa risposta). Penso al loro impegno e alla loro competenza mai sufficientemente retribuiti. Alle magre ma preziose finanze con cui questa impresa comunque procede (c’è chi ci vorrebbe restaurare la fortezza del Giove? ma si è capito di che cifre stiamo parlando?). Penso a questo, e mi fa veramente malinconia dover ancora una volta leggere commenti sprezzanti e volti soltanto a denigrare il lavoro altrui. Ma tant’è, non si può piacere a tutti, e non sempre dispiace non piacere a qualcuno.
Noi andremo avanti, ci mancherebbe. Valerii o non Valerii, le (ora) due ville di San Giovanni e delle Grotte continueranno a raccontare le loro storie alla comunità elbana. È solo l’inizio. Abbiamo tutti un compito importante e tante iniziative in corso. Gli umori dei singoli vengono dopo l’interesse della collettività.
Franco Cambi
Postilla. Diamoci tutti pace, Prof. Zecchini. L’archeologia ha fatto giganteschi passi avanti rispetto ai Suoi, mitici, tempi, e altri ancora ne farà, a prescindere dal nostro entusiasmo e malgrado il Suo acerbo scontento. Lei, nel Suo intervento, non cita mai i miei giovani e bravi collaboratori, mai i miei cari colleghi fiorentini, pisani e senesi, mai le numerose imprese e associazioni che ci sostengono nella ricerca, mai i molti bambini e giovani che parlano con noi, mai i loro bravi Docenti nelle diverse scuole elbane. Io, come vede, La nomino, perché ogni persona ha un nome, un cognome e una faccia, bella o brutta che sia. Siamo molto cresciuti rispetto al 2012 e nel 2012 eravamo già molto cresciuti rispetto a dieci anni prima.
A me, Prof. Zecchini, interessano il confronto, la condivisione dei dati seri e reali e la loro trasformazione in racconto scientificamente solido ma accessibile al più vasto pubblico possibile, racconto da RESTITUIRE alla comunità, che resta vera PROPRIETARIA di quei dati e autentica DESTINATARIA del nostro lavoro di ricerca.
Io vado avanti per la mia strada, Professore. Il compito che la vita mi ha affidato, fare l’archeologo, mi chiede di guardare con fiducia al futuro, non di rimestare livori nel passato, attività che non mi piace e per la quale sono contento di non avere tempo.
La saluto quasi con simpatia. Ma senza rancore.