«I lettori di Alexandre Dumas forse non sono altro che degli storici in potenza, ai quali manca solamente d’essere stati indirizzati a donarsi un piacere più puro e, secondo me, più intenso: quello del colore vero»: così scriveva il grande storico Marc Bloch nella Apologie pour l’histoire, l’ultima sua opera pubblicata postuma e composta durante la prigionia, poco prima di essere fucilato nel giugno 1944.
Mi è venuto in mente leggendo su “Repubblica” la parte finale della recensione di un altro storico, Franco Cardini, al romanzo televisivo I Medici, attualmente in programmazione da Rai 1: «Allora: storia ignorata, storia profanata, storia falsata: ma storia inseguita. Che cos’è questa: storia in crisi, eclisse della storia o storia metabolizzata? In fondo, potrebb’essere una sfida per i cultori seri della ricostruzione del passato: e se provassimo ad accettarla, a buttarci nell’agone e nell’intento di “filologizzare la fantasia”? Impariamo a divertirci studiando, in modo da riuscir a studiar divertendoci. Magari per scoprire che la storia vera è ancora più avvincente di quella pasticciata. Bisognerebbe solo riuscire a dimostrarlo». Cardini è stato assai misurato, e consapevolmente, come ha spiegato nella replica alla autodifesa del produttore del programma Luca Bernabei (sempre su “Repubblica”); molto più deciso è stato invece il critico d’arte Philip D’Averio nel suo intervento (TV Talk, sabato 22 ottobre) che non ha concesso attenuanti. A proposito della prima serata di programmazione ha osservato: «L’ho trovata orribile, perché non è permesso falsificare la Storia. <…> Esiste una funzione didattica di chi ha la responsabilità culturale che non è permesso tradire. E’ una sconfitta della cultura. <…> La nostra identità è sacra, le nostre origini sono il ceppo su cui formeremo il nostro domani. Offrire ai giovani un’immagine così da paccottiglia di un passato glorioso è un crimine contro i beni culturali».
Non ho competenze per esprimere un giudizio sotto il profilo del prodotto televisivo, ma la ricostruzione storica, per quanto si è visto finora, appare decisamente approssimata. E quel che è peggio, almeno stando alle giustificazioni addotte da Bernabei, non si tratta di sviste, ma di un taglio consapevolmente scelto, che si riconosce bene nel termine “scelta economica” utilizzato dal Produttore a proposito dello spostamento a Roma delle trattative per l’elezione a papa del cardinal Baldassarre Cossa.
Su questo unico aspetto, però esemplare, vorrei svolgere alcune brevi considerazioni. Non dubito infatti che agli autori fosse noto che il Concilio di Pisa si fosse tenuto a Pisa. Ho invece qualche sospetto sulla loro consapevolezza dell’importanza di quell’evento, neppure vagamente accennata; e delle circostanze che lo determinarono. Nel 1409 la sede della Chiesa non era affatto “stata spostata a Pisa”, come dice Bernabei, ma Pisa diveniva allora la terza sede della Chiesa, con Roma che riconosceva come papa Gregorio XII la cui “obbedienza” vedeva l’adesione di numerosi principi e territori; e con Avignone, che aveva come papa Benedetto XXIII, e l’obbedienza di altrettanti principi e territori. Lo scisma, il Grande Scisma d’Occidente, durava già da trent’anni, dal 1378; e due serie di papi si erano assise su due troni pontifici, mentre tutta la cristianità si adoperava, o diceva di farlo, per una composizione che riportasse unità alla Chiesa. L’impossibilità di trovare questa composizione aveva generato l’idea che essa potesse scaturire da un concilio di cardinali –idea assai controversa peraltro-, e i cardinali si erano accordati per convocarlo appunto a Pisa, anche perché i due pontefici regnanti avevano promesso di incontrarsi e cercare la pace, ma se ne stavano a debita distanza non fidandosi l’uno dell’altro. Il Concilio di Pisa li depose entrambi, ed elesse un terzo papa, Alessandro V, che morì dopo neppure un anno. Anima di tutta l’operazione era stato il cardinale Baldassarre Cossa, che aveva ricercato e ottenuto l’appoggio di teologi e intellettuali prestigiosi. Con l’elezione di Alessandro V le speranze di composizione furono deluse, e gli altri due papi integrarono i rispettivi collegi cardinalizi con nuove nomine in sostituzione dei trafughi di Pisa. Gregorio XII era veneziano, che non è notazione di poco conto, con complessi rapporti con la Serenissima; Benedetto XIII, spagnolo, era cardinale già al tempo dell’inizio dello scisma. Alessandro V era napoletano e sostenuto dai Visconti; e Cossa era napoletano e sostenuto da Alessandro V finché fu in vita. Non vi sono molti dubbi sull’elezione simoniaca di Giovanni XXIII Cossa (*); ma è ingenuo e fuorviante far credere che la posta in gioco fossero solo sacchetti di fiorini. Non vi sono dubbi sulle qualità personali e sulla dubbia moralità di Baldassarre Cossa (che peraltro fu ordinato sacerdote e vescovo solo dopo l’elezione a papa); ma raccontare che tutta la vicenda si sia giocata per la scaltrezza e la spregiudicatezza di un giovane banchiere fiorentino –il peso della banca dei Medici fu certamente rilevante, ma al pari di altre “spinte” concorrenti- è come dire che la storia di Francia è stata orientata da D’Artagnan e dai pendagli di diamanti della regina Anna. Infine, definire Giovanni XXIII un “antipapa” è quantomeno superficiale, visto che la Chiesa lo ha annoverato fra i papi canonici fino a qualche decennio fa; e considerato che alcuni dei cardinali da lui nominati (tra i quali Pierre D’Ailly, cancelliere dell’Università di Parigi) parteciparono al conclave interno al Concilio di Costanza, che nel 1418 pose fine allo scisma con l’elezione di Martino V Colonna. Pare difficile che le trattative per l’elezione del Cossa abbiano potuto tenersi a Roma, e così anche l’episodio del ricatto a sfondo sessuale nei confronti del cardinale Orsini inventato da Cosimo appare una inutile pennellata di colore.
Non era dunque necessario addentrarsi «in una storia dei papi per spiegare perché la sede della Chiesa era stata spostata a Pisa», come dice Bernabei; si poteva dedicare uno dei numerosi flashback al Grande Scisma d’Occidente, che è un evento di rilevanza assoluta, e spiegare che per i Medici l’operazione di finanziamento del Cossa, non era una mera operazione di politica bancaria, ma un intervento nella politica internazionale del tempo. Per inserire la parentesi della bella Miriam Leone si poteva trovare un altro modo, magari evitando di ricondurre alla storiella d’amore forzatamente interrotta i turbamenti del matrimonio di Cosimo con Contessina dei Bardi, che sarà poi stato simile a quasi tutti i matrimoni dell’epoca (e delle epoche successive).
Le vicende della vita degli individui sono assai complicate. La Storia, che cerca di raccontare le vicende di individui e di società, ha un compito singolarmente difficile, e dovrebbe aiutare a considerare la complessità spesso tradita dalle narrazioni semplificanti; altrimenti favorisce la fuga dalla realtà verso il mito. Conclude Cardini: «il Belpaese rigurgita di sagre e di festival nei quali si celebra il Medioevo Immaginario, l’Altrove collettivamente recitato in maschera. E’ un Medioevo che impazza in millantati giochi, tornei, gare di balestra, esibizioni di giullari. Un Medioevo che magari sfrutta autentici scenari artistici o paesistici, o li restaura, o li ricrea, che lancia torme d’improbabili pellegrini e di sedicenti cercatori del Graal su nuove Vie Francigene assalite da telecamere e punteggiate di B&B. Un Medioevo con un fatturato spesso da capogiro». Se era questo il fine che gli autori si erano proposto, è stato brillantemente raggiunto. Lo «sforzo generoso per far arrivare nelle case degli italiani almeno una parte di ciò che resta troppo spesso nei musei o nelle aule universitarie» rivendicato da Bernabei, poteva provare a regalare «un piacere più puro e più intenso: quello del colore vero».
Luigi Totaro
(*) Baldassarre Cossa assunse il nome di Giovanni XXIII, e come tale è stato considerato legittimo fino a quando Roncalli decise di chiamarsi proprio Giovanni XXIII, dando un taglio netto alla questione che aveva agitato la Chiesa per oltre cinquecentocinquanta anni, sulla legittimità del papa Cossa. La decisione risolutiva di Roncalli, che riapriva la serie dei papi col nome di Giovanni, interrotta proprio dopo la deposizione di Giovanni XXIII Cossa avvenuta nel Concilio di Costanza (1415) -da allora nessun papa aveva voluto scegliere quel nome per non sollevare la questione della legittimità del Concilio di Pisa e sul potere del Consiglio di Costanza di deporre i papi (ne depose ben tre tutti insieme)- intendeva essere un ossequio al potere del concilio ecumenico, che evidentemente già all'atto dell'elezione Roncalli aveva in mente di convocare.