«I muri [del capanno] erano bassi al metro, un metro e cinquanta, poi coperti con delle frasche. […] Il capanno era rettangolare, a quattro lati […]. Questi trulli rotondi so’ stati fatti da pochi anni, prima della guerra. È un certo Martorella che ha iniziato a farli, Mamiliano Martorella ha cominciato a farli; poi è stato copiato […] perché lui era stato in Continente, forse in Bass’Italia, in qualche posto dove ci sono questi trulli, e lui li aveva fatti poi coi lastroni. […] La capanna rotonda a lastroni è recente.» Chi parla è il novantenne Evangelista Barsaglini, l’ultimo pastore elbano, durante una mia intervista del giugno 2013. Le sue parole, che gettano nuova luce sulle origini di una delle più caratteristiche strutture pastorali dell’Elba – detta «capanna» o «cascina» o «grottino», ossia quell’«igloo» in pietra usato per la produzione casearia e contestuale al recinto ellittico («caprile») per la mungitura delle capre – sono ancora più preziose oggi, a neppure un anno dalla sua morte. Lo ricordo tra le sue capre, sull’altopiano sopra il paese di San Piero sferzato da un gelido vento, del tutto inconsueto per quel mese di giugno. Le parole di Evangelista, nato nel 1923, sono perentorie: la datazione dei suggestivi «igloo» dell’Elba occidentale è da ricercarsi nei primi decenni del Novecento. E la loro origine è veramente singolare: il pastore Mamiliano Martorella di San Piero (nato nel 1898), macchiatosi di un «delitto d’onore» per una vicenda passionale, fu incarcerato in Puglia e lì avrebbe appreso la tecnica costruttiva dei «trulli». Rientrato all’Elba, la introdusse nel preesistente contesto pastorale. Da ulteriori indagini è emerso che a Mamiliano Martorella si deve la realizzazione di numerosi domoliti sanpieresi tra cui quelli delle Macinelle, della Guata e di Moncione. Evangelista, che in precedenza era stato uno scalpellino, mi diceva tra l’altro di aver costruito la bellissima «capanna» di pietra delle Mure, sulla dorsale tra Seccheto e Pomonte, caratterizzata appunto da bozze scalpellate ad arte. Anche l’ingegnere Fausto Carpinacci mi conferma che le più antiche «capanne» pastorali elbane avevano una planimetria rettangolare anziché circolare come quella degli attuali «igloo», oltre a possedere una copertura di frasche e non la pseudocupola di pietra. Il tutto, tra l’altro, ha una somiglianza impressionante con il «pagliaghju» della Corsica, ovvero il piccolo edificio in pietra a pianta quadrilatera col tetto piramidale che è parte integrante del recinto per le capre. Se prestiamo fede alle pochissime fonti letterarie che narrano della vita pastorale elbana, potremmo arrivare alle conclusioni sopra esposte. Prendendo infatti in esame il più noto e magnifico complesso elbano, il Caprile delle Macinelle, osserviamo che in una sua rudimentale planimetria contenuta nel «Libro delle divisioni di Campo» (da me rinvenuta nell’Archivio storico di Marciana e datata alla seconda metà del Settecento) compare il solo recinto («caprile») senza le due «capanne» realizzate da Mamiliano Martorella che oggi rendono unico quel luogo. Tuttavia, nel 1927, Ervino Pocar scrisse in «Le vie d’Italia»: «…caprile delle Macinelle, dove c’è anche una cascina, cioè una capanna di pietre col tetto a cono dove i pastori fanno le ricotte.» Rimane però un dubbio; quel «tetto a cono» ricordato da Pocar era costituito da una copertura conica di legno e frasche? Altro esempio: il Caprile del Ferale, sulla dorsale che dal Monte Capanne scende al paese di Poggio, a 736 metri di altitudine, così descritto sempre da Ervino Pocar: «…si arriva al crinale del monte dove è costruito il caprile del Ferale, ossia una cinta circolare di pietre in cui i pastori chiudono il gregge.» Nel testo non compare minimamente la «capanna» in pietra che invece oggi fa bella mostra di sé a breve distanza dal «caprile», e che secondo una memoria orale fu verosimilmente costruita dal pastore sanpierese Aristide Martorella pochi anni dopo, intorno alla metà degli anni Trenta. Va ricordata, infine, la presenza di alcuni «domoliti» anche nell’Elba centrale, alle pendici del Monte Tambone. Per quanto riguarda invece i recinti per la mungitura delle capre, essi sono attestati almeno dagli ultimi tre secoli; oltre al già citato Caprile delle Macinelle, i vecchi documenti nominano il Caprile di Cella (Monte di Cote), il Caprile di Ceo (San Piero), il Caprile di Nesi (Sant’Ilario), il Caprile delle Panche (Poggio) e il Caprile di Tramontana (Pomonte). Ulteriori indagini potranno certamente dare notizie più puntuali e approfondite. A noi resta solo la memoria nascosta nelle storie di Mamiliano Martorella, Giuseppe Galli, Aristide Martorella, Oreste Anselmi, Danilo Galli ed Evangelista Barsaglini, di quegli uomini fortunati che vissero di vento e d’immensità.
Silvestre Ferrruzzi
(nella foto: La «capanna» realizzata da Evangelista Barsalini alle Mure)
EVANGELISTA pastore all'Isola d'Elba - il video racconto