Interessante quanto affollata premiazione, all'Hotel Airone di Portoferraio, del vincitore della 46^ edizione dello storico Premio Letterario dell'Elba che, per la cronaca, iniziò al meglio, nel lontano 1962, iscrivendo nell'albo d'oro il poeta ermetico Alfonso Gatto, continuando poi negli anni ad individuare in effetti, quasi sempre, lo spessore dello 'scrivere' italiano ed internazionale, vien da dire come quest'anno...
Vinti il 'Corrado Alvaro' al debutto, poi il 'Flaiano' e il 'Campiello', un secondo posto all'ultimo 'Strega' con il libro “Io resto qui” portato alla vittoria nel 'Brignetti' di questi giorni e di cui abbiamo dato notizia in sede di conferenza stampa, Marco Balzano, classe 1978, nasce come poeta e saggista di Leopardi e, nonostante abbia praticamente vinto un premio nazionale per ogni volume che ha licenziato, ama il proprio lavoro di insegnate di liceo, che continuerà a fare – ha detto convintamente- accanto al mestiere di scrivere.
E ascoltando l'interessante dialogo tra i componenti la giuria letteraria e l'autore, si è capito anche che l'impegno civile che parte dalla consapevolezza della Storia (soprattutto quella dei vinti, protagonista della vicenda narrata), non può prescindere dal seminare poi questa consapevolezza, affinchè la memoria dia i suoi frutti di civiltà e responsabilità.
Una tensione etica non scontata di questi tempi, in controtendenza con il superficialismo social, poco adatto a far prevalere il ragionamento sullo slogan.
Il soubrettismo di maniera (ci si perdoni la franchezza) delle conduttrici, apparso slegato dal contesto, non ha per fortuna fatto velo all'approfondimento dell' interessante ed attuale tematica dell'identità (meglio -è stato detto- al plurale- delle identità in reciproco riconoscimento. Nel romanzo, narrato in prima persona dalla protagonista femminile (intelligente invenzione e forse sfida a se stesso dell'autore), è il fascismo delle origini a pretendere che in quella valle del sudtirolo passata all' Italia dopo la prima guerra, si neghi la lingua madre, arrivando addirittura a modificare i nomi sulle lapidi. Inevitabili la resistenza e la resilienza al sopruso, emblematicamente racchiuse nella pratica delle maestre clandestine della lingua. Il sopruso continua poi fino al dopoguerra, con il 'sacrificio' del paese sull' altare del 'progresso', rappresentato in questo caso dalla diga necessaria a dar vita ad una centrale idroelettrica. A testimoniare dell'esistenza che fu resta la parte superiore del campanile, quello che galleggia nella copertina del libro (Einaudi).
Sotto quello strato d'acqua c'è appunto la Storia, che l'autore, come un palombaro, ha ricostruito tuffandosi nel passato, andando a parlare con l' ultima superstite (per età) delle abitanti di quella terra diventata acqua, per passare a noi lettori la consapevolezza di quello che è avvenuto e che sta avvenendo sui confini, che da luogo naturale di conoscenza e scambio, si sta trasformando in dramma. Un bel libro.
CR