Caro Direttore di Elbareport,
il dialogo appare come una delle necessità del nostro tempo. Riscoprirlo vuol dire operare - a tutti i livelli - una rivoluzione culturale. Il dialogo non è rinuncia alla propria identità o alle proprie idee: è riconoscimento e valorizzazione dell'alterità (l'altro a diversi livelli: coppia, compagni di studio o di lavoro o di tempo libero, concittadini, stranieri, popoli...) nella consapevolezza che sia occasione di arricchimento. Infatti, ognuno di noi è caratterizzata da incompiutezza, non basta a se stesso. L'importante è non temere di perdere qualcosa se si valorizza le bellezze dell'altro.
Ma il dialogo non è facile. Molti sono gli ostacoli. Anni fa, il pedagogista brasiliano Paulo Freire parlava delle caratteristiche dell'azione antidialogica. Una logica che parte dalla necessità della conquista: ogni atto di conquista comporta un soggetto che conquista e un oggetto conquistato. Il primo detta legge e impone i suoi criteri e i suoi obiettivi; il secondo è reificato. La seconda caratteristica è il dividere per dominare. I meno potenti sono incapaci, perché disorganizzati, di rivendicare i propri diritti e di incidere su mentalità e comportamenti. La terza è la manipolazione, cioè il tentativo di assoggettare il più debole ai propri obiettivi. La manipolazione si compie attraverso una serie di miti e il più pericoloso è il modello di vita che, i ricchi e i potenti, presentano ai poveri e ai deboli come l'obiettivo da raggiungere. La quarta caratteristica è l'invasione culturale, cioè "la penetrazione degli invasori nel contesto culturale degli invasi, senza rispetto verso le potenzialità dell'essere, che essa condiziona, quando essi impongono la loro visione del mondo e frenano le creatività, inibendo l'espansione degli invasi".
Tutto questo si basa su una condizione fondamentale: i più deboli, gli invasi, sono ritenuti intrinsecamente inferiori. Viene così a mancare la reciprocità, cioè l'essere su un piano paritario, sul quale ci colloca, come singoli e popoli, la comune dignità umana.
A questo punto, si possono individuare gli elementi che permettono il dialogo autentico. In primo luogo, esso deve realizzarsi tra soggetti, cioè tra persone e popoli che godono di pari dignità, dove nessuno è considerato come un oggetto o uno strumento. Inoltre, occorre avere l'intenzione di cercare la verità come se fosse una terza realtà tra i due dialoganti. Questo richiede apertura, sincero ascolto delle ragioni dell'altro e, quindi, una buona dose di umiltà (cioè la percezione di non essere autosufficiente). Il dialogo suppone chiarezza, evitando raggiri, doppiezze, intenzioni e mezzi nascosti. Di fondamentale importanza è la fede nell'uomo, come disposizione a credere in lui, nella sua capacità di conoscere la verità e volere il bene, anche quando è frenata da condizioni interne ed esterne. Credere nell'uomo conduce all'amore per l'uomo e per il mondo e alla speranza che muove i passi sulla via dell'umanizzazione.
Ho ripreso questi elementi perché ognuno, a cominciare da me, possa riflettere e, se lo ritiene, impegnarsi per il dialogo. Campi di applicazione non mancano che, qui e in questo momento, volutamente tralascio.
Nunzio Marotti