Ho ancora davanti agli occhi il sorrisone del mio babbo quando raccontava le storie del secolo passato. C'era quella del contadino che riparando il muro a secco di un salto di vigna sui pendii occidentali del Capanne rinvenne dei vasi rovinati e degli strumenti in metallo. Non vedendone possibili utilizzi, su consiglio del parroco, si recò con un sacco pieno di reperti a Portoferraio per contrattarne la vendita. Lì dové incontrarsi con un signore facoltoso appassionato di archeologia e storia locale.
A giudicare da quello che il nostro elbano d'occidente rispose al parroco al suo ritorno dalla città, il signore doveva essere il titolare di una merceria o sartoria. Al reverendo che gli chiese com'era andata la spedizione cittadina, infatti, l'ingenuo vignaiuolo rispose: "Che bellezza in chidd'e Feraje! Sacchi di fusi e di chirumelle!", che tradotto sarebbe "sacchi di fili da cucito e bottoni". Questo fu quanto gli rifilarono in cambio dei suoi tesori antichi.
Ecco come dovettero finire molti di quei vasi (liguri, greci, etruschi ?) che contadini, cacciatori, carbonai e pastori trovavano sulla montagna del Capanne e altrove.
La storia dei nostri piccoli musei (istituiti nel dopoguerra) potrebbe essere raccontata attraverso molti di questi aneddoti popolari. Basti pensare che il primo episodio archeologico di una certa importanza deve risalire a prima del 1500, dato che nei documenti del 1575 da Marciana ci risulta una località chiamata La Tomba, nella parte meridionale del borgo antico, in prossimità della località Le Mure. Anni or sono, in una casa del quartiere venne alla luce una pietra di granito parallelepipeda di circa 70x30 inglobata nelle pareti esterne. Ne conosciamo l'esistenza grazie alla sua proprietaria che ha gelosamente custodito la foto scattata a suo tempo, tratta da una pagina di una rivista in cui era stato pubblicato un servizio su Marciana. La mia impressione è stata di trovarmi di fronte ad un'iscrizione sui generis. È scritta in senso sinistrorso, si legge chiaramente da destra a sinistra. Il primo dei quattro caratteri è senza ombra di dubbio un "sigma a quattro tratti" di tipo lemnio/ceretano (?). Le due lettere successive sono invece assai complicate da decifrare. Si tratta di una doppia che per intendersi richiama la nostra "e" minuscola in corsivo, tipo icona a fiocchetto per le giornate di lutto. L'ultima lettera, a prima vista potrebbe sembrare un "gamma" greco arcaico (maiuscolo), ma con più attenzione si rivela senza ombra di dubbio un "pi" di tipo etrusco. Dico "tipo" etrusco e non propriamente "etrusco, a seguito delle difficoltà che mi ha provocato la famigerata doppia lettera, che in certe zone e certe grafie italiche può corrispondere a una "o" oppure a una "fi" ma solo in rarissimi se non unici casi, che a fatica fanno testo.
Dopo che la gentilissima signora Lina mi ha fatto avere la foto ci ho lavorato riprendendola di quando in quando. Non era mia intenzione pubblicarne un resoconto fino a che non si è materializzato uno studioso che mi ha detto di essere a conoscenza di un'antica iscrizione in quella zona, ma di non sapere né cosa c'era scritto né dove fosse stata scoperta. Dopo la sua richiesta, per dovere di cronaca gli ho fatto avere la foto. A quel punto ho mandato la stessa, corredata delle mie idee in proposito al Professor Maggiani notissimo etruscologo di fama mondiale e importante "ilvatologo", se mi consentite il termine. Aspetto trepidante una sua autorevole lettura. Ho voluto condividere con voi amici dell'Elba e amici DELL'Elba questa scoperta di anni fa, che sarebbe finita perduta se non fosse stato per il reporter che l'ha forse per caso immortalata e per la preziosa memoria storica di Lina (di Gianfranco).
Angelo Mazzei