Di recente “Lo Scoglio” (n. 94) ha opportunamente pubblicato una carta dell’Elba che può essere definita ‘nuova’ in quanto ignota ai più. Si tratta di una pergamena ‘sciolta’ di cm 20 x 29 conservata nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Essa accompagna l’Isolario di Cristoforo Buondelmonti (1386-1430 circa), ma non ha niente a che fare con l’umanista e geografo fiorentino, le cui cartografie sono di ben altra qualità. L’Elba vi è rappresentata in modo schematico, con una larga gobba a occidente, due profonde insenature a sud e a est, mentre quali siti antropizzati e fortificati compaiono Marciana e la Torre della Marina di Marciana, il Volterraio e Grassera, la Torre del Giove e Rio nell’Elba, la Torre della Spiaggia di Rio e Capoliveri. Di fronte, in basso, sta il litorale piombinese con Populonia e Piombino. Non c’è dubbio che l’elementarità dell’insieme e l’incertezza del tratto, al pari di inedite denominazioni di luoghi come Verifare (Rio nell’Elba) e Gresiri (Grassera), a prima vista diano l’impressione di un’alta antichità.
L’articolo sulla ‘scoperta’ è di Umberto Gentini e si intitola “Una pergamena, tante domande”. Bisogna riconoscere che è piuttosto forte, da subito, la tentazione di attribuire il disegno a un momento iniziale del XV secolo (ossia alla prima epoca appianea) e di qualificarlo come la più antica mappa dell’Elba finora conosciuta. E occorre ammettere, altresì, che sono di un certo peso le argomentazioni addotte in tal senso. Fra di esse spiccano le seguenti:
1) nella carta non c’è traccia di Cosmopoli, com’è noto edificata nel 1548;
2) compare invece Grassera, distrutta definitivamente dal pirata ‘Barbarossa’ nel 1534;
3) manca, a Piombino, il cosiddetto Rivellino convesso, costruito nel 1447.
Ergo la carta dovrebbe registrare una situazione architettonica anteriore al 1447.
In linea teorica nulla vieta di accettare che gli Appiano, di fatto padroni dell’Elba a partire dal 1392, abbiano precocemente attuato un dispositivo difensivo misto – d’altura e costiero, in particolare nelle zone di massima estrazione del ferro (Calamita e Rio Marina) e nelle aree boschive a più intensa riduzione del metallo (vallate marcianesi) - per proteggere le popolazioni e i propri interessi economici. A favore di tale ipotesi si può affiancare un’ altra osservazione non irrilevante. In alcuni documenti conservati nell’Archivio di Stato di Lucca si legge di intensi rapporti diplomatici e commerciali che si stabilirono fra l’Elba e Lucca nel primo trentennio del XV secolo. Di particolare interesse è una lettera inviata il 30 aprile 1413 da Paolo Guinigi, signore di Lucca, a Donna Paola Colonna, consorte di Gerardo Appiano, per la sollecita estrazione della vena di ferro di cui era comproprietario. Nell’ambito del commercio del ferro, perno economico che reggeva le sorti di importanti traffici come quelli della seta e del cuoio, compaiono nello stesso periodo una miriade di imprenditori meno altolocati ma idonei per comprendere quali fossero la portata e l’intensità degli scambi. Per esempio alcuni documenti del medesimo Archivio, datati 1418, 1478 e 1481, si diffondono su carichi di ferro (grezzo o semilavorato) che, sbarcati alla foce del Serchio, a Viareggio e alla Marina di Pietrasanta, furono smistati verso le ferriere di Trassilico, di Pescaglia e dell’intera Lucchesia. In altre parole: la correlazione fra apparato difensivo e produzione/ commercio del ferro costituisce un percorso di studio accettabile e da approfondire.
Tuttavia non si può fare a meno di sottolineare che l’ipotesi di cronologia alta della pergamena pseudo-buondelmontiana si scontra con alcuni "però" non marginali. Prima di tutto: se è indubbio che nel disegno manca il Rivellino piombinese del 1447, è altrettanto vero che, fra l’altro, non compare nemmeno la Torre campese di S. Giovanni, struttura di avvistamento e di difesa riferibile all’XI secolo. Quest’ultima assenza – domanda retorica – ci autorizza forse a retrodatare la nostra mappa a prima del Mille? Il fatto è che gli ‘argumenta e silentio’ devono essere soppesati con grande attenzione e, possibilmente, devono essere raffrontati con altri elementi meno aleatori. Tanto più che - è risaputo - non di rado mappe del genere riportavano solo quello che interessava al momento, ignorando tranquillamente località o situazioni che non servivano allo scopo.
Analizziamo un altro aspetto del problema finora trascurato. Siamo sicuri che la grafia della pianta riporti agli inizi del XV secolo? A me non pare. Per rimanere nello stesso ‘distretto’ archivistico, direi che essa mostra strette affinità, per esempio, con parecchi documenti dell’avanzato XVI secolo (1540-1550) presenti nel Notarile Antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze. Perciò potremmo essere di fronte a una copia di un originale più antico, oppure la mappa potrebbe appartenere davvero alla metà circa del Cinquecento e contenere una miscela di raffigurazioni di strutture contemporanee e di monumenti precedenti. Dunque: ancóra condizionali, ancóra ipotesi, ancóra dubbi. In mezzo ai quali una cosa appare certa: il titolo del lavoro di Umberto Gentini, “Una pergamena, tante domande”, è perfettamente centrato.
Per quanto concerne la Torre di Marciana Marina, la cui veste architettonica è del 1560 circa, non dovremo attendere il ritrovamento di più probanti documenti d’archivio per sapere se, sotto l’attuale, ci siano o meno i resti di una struttura precedente. Infatti il Sindaco Ciumei, dopo averne ottenuto l’affidamento temporaneo, di concerto con l’Università di Firenze e sotto la direzione della Soprintendenza di Pisa ha da tempo attivato indagini diagnostico-stratigrafiche propedeutiche alla stesura di un progetto di valorizzazione. Da quanto mi risulta, i dati acquisiti sono già di tutto rispetto.
Michelangelo Zecchini