Manrico Murzi ha da poco compiuto 90 anni. Poeta, scrittore, traduttore e giornalista, è nato a Marciana Marina (isola d'Elba che considera ispiratrice, soprattutto con le mille voci del mare che gli sono entrate dentro).
E' stato definito <<poeta giramondo>>, per il suo viaggiare in tanti Paesi, soprattutto nell'area mediterranea. Ha pubblicato numerosi libri, fra cui racconti, poesie e saggi filosofico-religiosi, di cui ricordo qui il dialogo con Paolo Bianchi sui detti di Gesù nel vangelo di Tommaso. Collabora a vari giornali e riviste, tiene conferenze sulla poesia in Italia e all'estero. Ha tradotto autori da varie lingue, francese, inglese, tedesco, arabo, tra cui Yourcenaur e il premio Nobel l'egiziano Mahfuz (procurandosi la condanna a morte dagli estremisti islamici). Impegnato a favore della libertà e delle minoranze, nel 2001 è nominato ambasciatore di cultura per l’Unesco. E proprio di <<poesia come libertà>> ha parlato, tre anni fa all'inaugurazione dell'anno scolastico del <<Foresi>> di Portoferraio, dove ha frequentato il liceo classico. Il poeta vero è libero, non asservito a nessuna ideologia, cerca la verità attraverso l'ascolto della voce interiore, di quella dimensione profonda dell'uomo che è lo spirito. Il poeta ha solo il legame con le sue parole. <<La realtà del poeta è acustica, del suono che rompe il silenzio>>.
C'è un momento della formazione di Murzi in cui avviene una svolta. E' il 1952, è al secondo anno di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, mentre prepara un indigesto esame di Diritto privato. Grazie ad alcuni artisti amici incontra Giuseppe Ungaretti mentre tiene la sua lezione.
Murzi racconta: <<Mi chiesero di unirmi a loro e andammo a sederci sui banchi dell'aula dove il Maestro stava parlando degl'Inni Sacri del Manzoni. Non amavo e ancora non amo quell'opera poetica, ma la lettura del poeta, che calcava i suoni delle parole sillabando con voce cavernosa, e il commento a lungo divagante nei sentieri della cultura poetica d'Europa e oltre, mi affascinarono>>. Decide di iscriversi al lettere e filosofia, laureandosi presto e stando molto vicino a Ungaretti fino a diventare poi suo assistente. <<Molto ci legava – racconta - il mio amore per Alexandria d'Egitto, per la poesia di Mallarmé e di Kavafis, e forse anche il fatto che io fossi, come lui, figlio di un fornaio. Nacque una forte simpatia. Spesso, finita la lezione e lasciata l'aula, si camminava verso il Viale Margherita a prendere la circolare per andare a casa sua, dove spesso ci dimenticavamo di scendere, così poi si girovagava perdendo la nozione dello spazio e del tempo. Intanto spesso stavamo in silenzio, anche perchè lui, seduto su una scalino o dondolando per la strada mugolava e masticava parole di qualche composizione in fieri. La sua lezione continuava all'aperto ed era una lezione di libertà, di uno spirito aperto alla vita e al mondo delle idee. La sua docenza era un viaggio con tappe non previste. Qualche volta si andava a piedi fino alla stazione Termini nel ristorante dove un cuoco polacco preparava un ottimo gulasch: "Non lo dire a mia moglie!", mi gridava: non avrebbe dovuto mangiare cibi grassi, piccanti, soffriva di angina pectoris e gli avevo regalato una scatoletta d'argento per le pasticche di trichinina. Andavo a casa sua per preparare le lezioni, mi apriva la porta e talvolta mi diceva: Oggi non si lavora! Chiedevo il perché, e lui mi rispondeva: Il gatto ha occupato la scrivania! E lo vedevo, anch'io amante dei mici, quel gatto stravaccato su libri e dizionari. Per un intero anno accademico commentò il canto Alla Luna di Leopardi, andando poco oltre il primo verso: ogni parola gli dava spunto per viaggi culturali infiniti, tanto che all'ultima lezione gli chiesi di leggere finalmente tutto il testo. Lo fece nel suo modo che ricordava la scansione del canto del muezzin che per i suoi primi 24 anni di vita gli era piovuto dal minareto cinque volte al giorno!>>.
Gli chiedo quale degli scritti del Poeta lo ha segnato in modo indelebile. <<È "Il Porto Sepolto" che mi ha segnato di più, nato dal dolore del soldato in trincea. Pubblicato a Udine nel 1916, è il tuffo nel mare di Alessandria per raggiungere il porto d'età tolemaica affondato: "Vi arriva il poeta/e poi torna alla luce con i suoi canti/e li disperde". In queste poche parole è la poetica di Ungaretti, che dalla profondità del suo essere porterà a galla il suo rimuginare significati e suoni e la parola perduta. Nel 1923 la stessa raccolta poetica fu pubblicata non con la prefazione, ma con quattro brevissime righe di presentazione di Mussolini. Ungaretti fu marchiato come fascista e molti dimenticano che sua moglie era un'ebrea di Parigi e che nel 1938 Umberto Saba, perseguitato per le leggi razziali ebbe l'aiuto del poeta dell'Allegria>>. E Murzi ci tiene a sottolineare che il suo Maestro non era un fascista e che ha avuto aiuto dal Regime come lo ebbero Pirandello, Malaparte e tanti altri. <<Aveva incontrato il Mussolini socialista non quello del dopo il '22>>.
Nel cinquantesimo della morte, si può parlare di attualità di Ungaretti? <<Sì, sarà sempre attuale, giacché la sua poesia è essenziale e nata dallo spirito immortale, aderisce alla verità e tocca la coscienza di tutti gli esseri umani>>.
Nunzio Marotti da Toscana Oggi