Din-don din-don. Mi alzo dal letto con un balzo e mi affaccio alla finestra, sento le campane suonare. Tutto è ricoperto di neve. Torno con la mente ad un anno fa. Era il 24 di dicembre. Avevo sempre amato il Natale, i colori natalizi, il camino acceso, i marshmallow da scaldare, le cioccolate calde, le coperte, i pigiami giganti e pelosi, i canti natalizi. Insomma, adoravo il Natale e non vedevo l'ora di scartare i regali. Quel giorno avevo scritto, come tutti gli anni, una letterina per Babbo Natale e una per i miei genitori. Ai miei genitori chiedevo un cane, un cucciolo qualsiasi, non mi impor-tava della razza. A Babbo Natale avevo chiesto la neve perché da noi, in California, non nevica mai. Mi presento, io sono Aurora e ho tredici anni. Mia madre si chiama Federica, mio padre Sergio, mio nonno Franco passa sempre il Natale con noi e adoro le mie due sorelline di quattro anni, Giulia e Carlotta. Non siamo una famiglia perfetta, litighiamo spesso e non siamo molto uniti. Un legame speciale mi unisce a mio nonno, forse perché abbiamo caratteri simili. Ci vogliamo molto bene.
Il giorno di Natale dell’anno scorso mi svegliai gioiosa, volevo godere di ogni minuto di quella che di certo sarebbe stata una bellissima giornata. Afferrai i regali da dare ai miei cari e li riposi sotto all’albero insieme a tutti gli altri misteriosi pacchetti, in trepidante attesa dei miei familiari. Andai in cucina e decisi di prepararmi una cioccolata calda da gustare con i marshmallow seduta sulla poltrona mentre osservavo il nostro bellissimo albero. Ad un tratto la porta si spalancò e apparvero i miei più cari amici urlando:
“Buon Natale!”
Lo spavento fu tale che versai la cioccolata sulla poltrona. Mio nonno scese le scale chiedendosi cosa fosse quel baccano. Noi ci eravamo nascosti, quindi lui tornò di sopra brontolando e credendosi pazzo. Dissi ai miei amici di fare piano e di aiutarmi a pulire. Li rimproverai, sì, ma adoravo la loro esuberanza. Avevamo ripulito tutto, quando la mia famiglia si riunì finalmente in cerchio intorno all’albero per aprire i regali. Mia mamma porse il primo pacchetto a mia sorel-la ma la gioia del momento fu interrotta: bussavano alla porta. Mia madre sospirò annoiata, appoggiò il regalo sul tappeto e si avviò alla porta per vedere chi fosse. La persona dietro alla porta continuava a battere in modo forte e violento. Mia madre aprì la porta e salutò. Entrò in casa un uomo grosso e rude che disse:
“Buongiorno signori Giordano, devo riferirvi una cosa importante”.
Invitò mio padre a seguirlo per parlargli in disparte. Io chiesi a mia madre chi fosse quell’uomo e lei mi spiegò che si trattava del proprietario di casa. Cominciai ad avvertire la sensazione che qualcosa stesse per andare storto. Ma mia madre provò a rassicurarmi dicendomi di star tranquilla. Mi portò di sopra e mi spiegò che papà si era semplicemente dimenticato di pagare l’affitto e che la cosa si sarebbe risolta in breve. Ma io avvertivo la tensione nell’aria, le urla di mio padre, i pianti delle mie sorelle. Anche se mi trovavo al piano di sopra sentii distintamente il proprietario minacciare:
“Avete cinque ore di tempo per andare via di casa o chiamerò la polizia”.
Da quel momento in poi fu tutto confuso. Ricordo il momento in cui mamma disse a me di far compagnia alle mie sorelline e di attendere in camera; mi ripeteva ancora che si sarebbe aggiustato tutto. Mio padre era di sotto che continuava a telefonare in modo convulso. Era il Natale più brutto di tutti quelli vissuti fino ad allora. Mio padre tirò fuori i risparmi che aveva in cassaforte. Eravamo in California e quei soldi non erano sufficienti per raggiungere i nostri più cari amici in Inghilterra. Non sapevamo più dove stare. Non avevamo parenti e non era facile spiegare la situazione a conoscenti. Era un perfetto disastro, un sogno diventato un incubo. Viaggiammo per ore in macchina senza una meta, avevamo dietro solo i soldi per la benzina e per i viveri. Non riuscivo a capire come si fosse arrivati a quel punto. Approfittai di una sosta in autogrill. Mia madre aveva accompagnato le mie sorelline in bagno e io chiesi finalmente spiegazioni a mio padre. Lui fu molto gentile e sommessamente mi spiegò che avevamo molti debiti, che l’attività di famiglia attraversava una fase di crisi. Si scusava, pensava di avere la situazione sotto controllo ma evidentemente così non era. Parlava singhiozzando ma io apprezzai la sua onestà. Ripartimmo e arrivammo in un bosco, dove si trovava una casa piccolissima, con tre letti, un divano e la cucina. Mio padre si mise a dormire in terra, mio nonno sul letto e mia mamma sul divano per lasciare spazio a noi bambine. Riposammo per un’oretta, poi ci mettemmo in cerchio di nuovo, come se le ultime ore fossero state solo un brutto sogno. Mio nonno mi porse una scatola piccolissima, la aprii e ci trovai un nastro per i capelli. Ero delusa, non era il regalo che desideravo.
Lui intuì il mio sentimento e mi disse:
“Non guardare solo l’aspetto delle cose, Aurora, cerca di apprezzare il gesto”.
Come per magia, un cucciolo di maltese varcò la soglia della porta: aveva un nastro uguale al mio al collo. Iniziai a piangere dalla felicità. Nel giro di due ore si ricoprì tutto di neve e noi e Bella, così chiamai la mia nuova compagna di avventure, andammo fuori a rotolarci nel bianco. Oggi so che lo stare insieme cambia il modo di vedere ogni evento, anche quelli tristi o imprevisti. Quel giorno avevamo perso tutto ma avevamo ritrovato noi stessi.
Rebecca Moretti, Vittoria Somma e Elisabetta Spinetti