Uno degli aspetti fondamentali della vita di Pietro Gori è il suo peregrinare per il mondo. Fu costretto per due volte all'esilio, a causa delle persecuzioni poliziesche a cui erano sottoposti indiscriminatamente gli anarchici ogni volta che la situazione sociale italiana si faceva esplosiva: la prima volta in seguito alle leggi liberticide del governo Crispi (1894), reazione all'omicidio del presidente della repubblica francese Sadi Carnot per mano dell'italiano Sante Caserio; la seconda provocata dalla brutale repressione dei moti sull'aumento del prezzo del pane, nel 1898, che culminò, il 7 maggio, con la strage di Milano, quando il generale Bava Beccaris ordinò di aprire il fuoco sui manifestanti.
Ma negli ultimi anni della sua vita viaggiò anche per scelta: nel 1904 accettò l'invito dell'università popolare per una visita in Egitto, per poi spostarsi in Palestina. Insieme al continente americano visitato nel corso dei due esilii, (nel primo, l'emisfero nord, nel secondo la parte sud), Pietro mise quindi piede su quattro continenti del globo. Cosa piuttosto eccezionale per un uomo del suo tempo, oltretutto vissuto solo 46 anni.
Malgrado la forzatura degli esilii, mai come in questi periodi della sua vita Pietro si sentì un cittadino del mondo, e poteva con assoluta ragione affermare che “nostra patria è mondo intero”. Lo dimostrano la sua voglia di propagandare l'ideale, pari a quella profusa in Italia, e il calore che ricevette in paesi stranieri.
Il viaggio forse meglio documentato, certamente il più intenso ed esaltante, fu quello che compì negli Stati Uniti. Che coprì in ogni suo angolo: dalla East alla West Coast, al profondo Sud, alle terre di confine del Nord, e qualche puntata anche in Canada, a Montreal. E considerando la vastità del paese, dovette aggiungere al tempo passato tra comizi e manifestazioni, la fatica per i lunghi spostamenti. Si calcola che nel suo peregrinare, in quasi un anno (da inizio agosto 1895 alla metà di luglio 1896) percorse 11mila chilometri e tenne 280 conferenze, anche se alcuni sostengono (invero con scarsa attendibilità) che furono 400, e altri addirittura 700! Vero è invece che arrivò a svolgere quattro convegni nell'arco di ventiquattr'ore, come quelli tenuti in altrettanti quartieri di New York per la celebrazione del 20 settembre; e le sue soste gli davano appena il tempo di riprendere fiato. Ciò minerà profondamente la sua salute: nel dicembre infatti lo colse un malore, probabilmente primo segnale di quella tubercolosi che lo porterà alla prematura morte.
È stato ipotizzato che la fase nordamericana della vita di Pietro non fosse nata da un capriccio del destino, rappresentato dal fatto di essere imbarcato su un piroscafo casualmente diretto negli Stati Uniti, ma potrebbe essere derivata da un preciso progetto maturato a Londra. Gori si sarebbe ripromesso di seguire le orme di altri esponenti anarchici, soprattutto Francesco Merlino, che già avevano intrapreso un tour di propaganda negli States, nel tentativo di organizzare i lavoratori italiani sparsi nel nuovo mondo, ormai numericamente rilevanti dopo anni di immigrazione. Senza dubbio i libertari intravidero anche nella nascente potenza mondiale un'area politica non più secondaria rispetto alla vecchia Europa.
Con questo lavoro, se non annoierò i lettori, cercherò di ripercorrere idealmente il suo viaggio, accompagnando Pietro nelle sue emozioni, i patimenti, le suggestioni.
Ma ogni avventura che si rispetti ha bisogno di un prologo.
Londra, giugno 1895. Pietro si imbarca sul piroscafo Neerland, come semplice marinaio. Infatti la sua permanenza londinese era funestata non solo dalle difficoltà politiche, che la polizia italiana non mancava di far pesare fino a queste latitudini, ma anche dalla necessità economica: l'ottimo inserimento nella vita politica e sociale non andò di pari passo con quello professionale. E questo significava vivere nelle ristrettezze. Non mancò però di rassicurare per lettera la famiglia che, in caso di amnistia, sarebbe subito rientrato in Italia, e li tranquillizzava sul suo stato. Da qui nacque la necessità di spostarsi, accettando il lavoro, per lui inconsueto e difficile, di marinaio.
La nave fu costretta a fare sosta dopo pochi giorni prima a Rotterdam e poi ad Amsterdam, per un'avaria all'elica. Nella capitale olandese sbarcò il carico e imbarcò altra merce, mentre venne riparato il guasto. Di questa nuova esperienza da “foca marinara”, come lui stesso ironicamente si definirà, Pietro ci dà una vivace rappresentazione, scrivendo a Edoardo Milano, con cui aveva stretto amicizia a Londra: “In questo primo viaggio sono riuscito assai a sbrigarmela dalle fatiche più rudi – perché il capitano, che bestemmia [si intenda, parla male] il francese, sentendo ch'io pure lo bestemmiavo, ed accorgendosi che per una certa istruzione supplivo alla assai visibile mia imperizia marinaresca, e che con molta buona volontà mi applicavo a qualunque lavoro mi venisse ordinato – mi pregò di catalogare la sua piccola biblioteca, ciò che io feci con assai facilità ed eleganza, il che finì di guadagnarmi le simpatie del comandante ed anche un po' le gelosie dei miei camerati marinari. Mi sono riconciliato, fraternizzando con loro, e strimpellando spaventosamente la chitarra e steccando tutte le canzoni più o meno rivoluzionarie del nostro repertorio – in questo pomeriggio, quando passata la bufera, il mare del Nord era tornato al suo fiotto ordinario ed austero, ed il piroscafo correva a tutto vapore, contro le dighe dell'Olanda, occhieggiante quasi timorosa coi suoi campanili aguzzi di sotto il livello delle ondate.”
Ad Amsterdam non mancò di fare visita all'anarchico Ferdinand Domela Nieuwenhuis, che lo accolse fraternamente. La stessa sera Pietro e un gruppo di amici italiani assistettero nella vicina città di Haarlem a un comizio socialista. Gori apprezzò molto i toni, tanto che scriverà che il movimento olandese ha più affinità con i libertari italiani che non con i socialisti di Turati. La sera del 13 luglio la Neerland salpò per la Norvegia, dove vi arriverà quattro giorni dopo ma non potrà attraccare per maltempo. Dovrà deviare quindi su Edimburgo e quindi su Liverpool. Pietro racconterà quelle novanta ore di fatica e pericoli in un'altra lettera a Milano.
Ma la nuova tappa sul suolo inglese sarà questione di ore: il Neerland infatti doveva subito intraprendere il suo viaggio transatlantico con destinazione New York, che durò dieci giorni. Questo è così descritto da Pietro: “Appena lasciate le coste dell'Irlanda ricominciarono le dolenti note – il signor Oceano mi si volle far conoscere per la prima volta in tutta la sua orrida maestà. Si cominciò a danzare su dei cavalloni che parevano montagne, al suono d'una fragorosa tempesta, che veniva dal sud – e per tre o quattro giorni il mare si mantenne agitatissimo. Ti puoi immaginare con qual voluttà disimpegnassi i miei obblighi marinareschi, in mezzo a cotesta ridda infernale, e con dei pasti atroci di margarina, carne salata, thè, e galletta.”
Il viaggio proseguì in pessime condizioni atmosferiche: “fittissime nebbie” si alternavano a un “vento gagliardo e freddissimo”, mentre sulla rotta ogni tanto “passeggiava” qualche iceberg. Il piroscafo ebbe anche un guasto al motore, che dovette essere rimediato con l'uso delle vele, e alla fine trainato da una nave inglese fino alle coste americane.
Il nuovo mondo rappresentò per Pietro una folgorazione, una nuova sfida. Sbarcato con “l'inseparabile chitarra” e smessi i panni del marinaio, fu accolto dagli immigrati italiani a Paterson, città d'elezione statunitense per i fuoriusciti anarchici, e si rimise subito i panni del politico: già a fine luglio duettava con Antonio Agresti, in una conferenza nella cittadina del New Jersey. Essa non fu che il preludio di un'attività frenetica negli States: come lo stesso Pietro aveva pronosticato: “Ho già tenuto qualche conferenza qui [a Paterson] e in una città vicina. Dopo domani parlerò in un meeting a New York contro una condanna a morte. Insomma ho trovato un paese, dove l'elemento Italiano è numerosissimo, e dove si può fare ancora un'attiva ed utile propaganda.”
Come vedremo era l'inizio di una tournèe, quasi da moderna rockstar.
Andrea Galassi