A New York l'evento più significativo è quello nell'anniversario della breccia di Porta Pia, il 20 settembre 1895, in cui Pietro Gori, con Agresti e Pedro Esteve, organizza un meeting italo-spagnolo, in cui ribadisce la necessità per gli anarchici di stringersi in associazioni per combattere il governo. L'11 novembre a Chicago (Illinois) commemora i cinque martiri del primo maggio. Poco meno di un mese dopo è a Buffalo (New York), dove tiene delle conferenze, La classe dei lavoratori di fronte alla questione sociale e La liquidazione delle inequità sociali, e il discorso inaugurale dell'Italian labour union.
Ma com'era un comizio di Pietro? È difficile immaginarsi lo stile, il tono di voce, la gestualità, in quanto di un suo discorso non ci sono note registrazioni audio. Tecnicamente nei suoi anni esse erano possibili, ma molto complicate da realizzare. Non ci risulta neanche un filmato di Pietro, che comunque non potrebbe che essere muto, nei primi anni del Novecento. Dobbiamo affidarci ai testimoni. Che però sono amici ed estimatori. I loro giudizi quindi possono peccare di elogio.
“Il suo carattere saldo, nobilissimo, elevato;” scrisse per esempio l'amico Virgilio Mazzoni, “l'ascendente, – sarei per dire la seduzione – delle sue maniere gentili; scevre dalle asperità di tratto o di linguaggio, ed anche delle leziosità – che altri credeva di riscontrare in Lui, ben a torto; – per la purezza del suo stile e la dolcezza della sua voce; per la sua eleganza naturalissima del fraseggiare e scolpire le parole in un contesto felice di alata poesia, in cui la periodazione, la frase, il discorso, aveano ritmo sì meraviglioso, che poté sembrare artificio ed era naturalezza, senza fronzoli e senza pleonasmi fecero di Lui il più elegante ed ascoltato ed ammirato oratore del suo tempo.”
Non c'è alcun dubbio che uno dei punti di forza del fascino di Gori sia stato la sua travolgente forza oratoria. Paolo Schicchi enfaticamente paragonava la sua voce “ad una sinfonia di Beethoven”. Forza oratoria che però con il tempo si è spenta: il suo stile, a rileggerlo oggi, appare meno moderno di quello di altri libertari a lui contemporanei. Dei suoi scritti o comizi poche frasi potrebbero essere riportate a beneficio dei tempi attuali. Rimane solo il fascino della costruzione verbale, che in bocca a un uomo di tale carisma doveva essere emozionante per l'uditorio. Proprio il suo stile datato potrebbe essere una delle ragioni per cui la sua figura si è andata sfumando nel tempo.
Già pochi anni dopo la morte la suggestione dell'oratoria goriana andava sgretolandosi. E non solo sotto i colpi (spesso letterali) del regime e la retorica fascista. Il giudizio di un intellettuale distante da Pietro ma non agli antipodi come Antonio Gramsci è lampante: stroncò il modo di esprimersi e pensare di Gori (“sente di sagrestia e di eroismo di cartone”), rilevando che quelle forme “sono penetrate molto profondamente nel popolo e hanno costituito un gusto” (“Quaderni del carcere”, Torino, 1975, Quaderno 6, par. 105).
Scrivono Patrizia Piscitello e Sergio Rossi (“È tornato Pietro Gori”, Portoferraio, 2008, pag. 86): “il linguaggio goriano non è in se stesso affatto rivoluzionario, è il linguaggio che risponde al gusto di quegli anni, che riecheggia, sulla linea carducciana, vocaboli e costruzioni classicheggianti e si arricchisce di barbarismi e di neologismi, non privo di una certa ampollosità stilistica e di una certa predilezione per i toni enfatici. E forse questo suo essere interprete più che rivoluzionatore di un gusto è quello che garantisce a Gori il suo successo, che gli permette di comunicare entusiasmo e commozione a tutti, di lanciare un messaggio così largamente raccolto.”
I suoi comizi erano un caso unico nel panorama anarchico, differenti da quelli di altri esponenti. Maurizio Antonioli (“Pietro Gori Il cavaliere errante dell'anarchia”, Pisa, 1995, pag. 24) fa un parallelo tra gli stili così diversi di Gori e Malatesta, eppure dalle vicende umane così simili: “In Malatesta si è in presenza di una continua opera di demolizione di ogni consenso puramente emotivo, della resistenza più o meno consapevole a prestare la propria immagine a manipolazioni simboliche, ed invece di una ricerca costante di operatività, di unità sì, ma politico-programmatica, attorno a obiettivi a breve e a lunga scadenza. Per certi versi Malatesta può essere definito un anti-eroe. […] Per Gori il discorso è diverso. Il suo temperamento, il suo stesso tipo di espressività, il suo bisogno di una esemplarità per così dire religiosa, la sua esigenza di proiettare all'esterno 'la fiamma di un gagliardo – ed incorrotto amor' e nello stesso tempo di sentirsi avvolto 'ne l'amor del popolo' lo spingevano ad accettare un ruolo – quello di apostolo, di cavaliere degli 'esclusi' e, perché no?, anche quello di martire – che non poteva non sfociare in quella sorta di sublimazione di cui parlava Virgilia d'Andrea. […] Nessun anarchico infatti, né prima né dopo, riuscì a suscitare ondate d'affetto popolare al pari di Gori. Neppure Malatesta nel 1920, quando, al suo rimpatrio dall'Inghilterra dopo la guerra, dovette addirittura frenare, con un fermo invito ai compagni, l'entusiasmo che si scatenava al suo stesso apparire. […] Gori invece veniva collocato in una dimensione quasi atemporale, dove prendevano consistenza i valori assoluti della Bontà, dell'Amore, del Coraggio, della Bellezza di cui egli sembrava l'espressione.”
Altro punto di forza nella costruzione del suo carisma è un uso, questo sì, moderno nelle forme di espressione. Non solo comizio, ma anche canzone, conferenza/dibattito (in alcuni casi con scontri molto accesi con oppositori, se non provocatori), uso di proiezioni. Un modo interattivo, per certi versi anticipatore.
E forse anche un gusto alla gestualità teatrale, come appare in una foto che lo vede arringare alla folla, con un braccio levato a guisa di posa attoriale. E viene ben colto anche nella plastica postura delle braccia del bel monumento commemorativo di Capoliveri. Una pratica di attore derivata dalla recitazione nelle opere che portava per i teatri, e che probabilmente doveva trasporre nei suoi interventi oratori, efficace nella narrazione della buona novella dell'idea anarchica, e lo dovette rendere qualcosa che oggi potrebbe quasi definirsi una popstar. E peraltro i suoi giri di conferenze da città in città, qualunque continente avesse percorso, la grande partecipazione di pubblico, il suo calcare la scena accompagnandosi con la chitarra, appaiono veramente come tournée di un attore.
Tutta questa potenza oratoria la dovette far duettare con quella delle vicine cascate del Niagara, sempre a Buffalo, in una conferenza davanti un migliaio di lavoratori, dove inaugurò anche un fascio socialista-anarchico. Tra il 6 e il 18 dicembre partecipò a una conferenza al giorno di fronte a folle di diverse lingue, tra Cleveland (Ohio) e nuovamente Chicago, dove tenne a battesimo due circoli, uno dei quali, il Circolo internazionale fra lavoratori svizzeri e italiani, il 15 dicembre.
E anche in questi casi colpì l'uditorio, oltre che per l'oratoria, per un'indubbia eleganza della sua figura. Aspetto significativo ma poco considerato. Le foto lo mostrano sempre con un look molto curato. Caratterizzato spesso da un'eleganza tipica della borghesia del tempo, mondo peraltro a cui apparteneva. Ma anche da vezzi originali: durante il suo viaggio in Sudamerica, e spesso anche al suo ritorno, lo troviamo col cappello a larghe falde e il poncho da gaucho argentino, il fiocco nero. Un altro carattere attoriale di Pietro, un suo essere personaggio. D'altra parte l'essere un bell'uomo, che esercitava un forte fascino sulle donne e sull'uditorio in generale, dall'efficace oratoria, potevano giustificare una sua punta di narcisismo.
Forse questo look lasciò un segno più duraturo della sua parola, influenzando una moda anarchica di inizio Novecento. “L'ho portato anch'io lo svolazzo [fiocco] di Gori”, dirà un testimone tra quelli intervistati all'Elba negli anni '70 nel citato libro di Piscitello e Rossi.
Andrea Galassi