Era una calda giornata di fine agosto, nel carcere di Porto Azzurro tutto era tranquillo. I villeggianti riempivano le spiagge dell’Isola d’Elba, vi era un’atmosfera di fine estate. Nuovi amori agostani, tradimenti vacanzieri, tra pochi giorni tutto sarebbe tornato alla solita vita. Il rientro nelle città, al lavoro a scuola. Ma quel 25 agosto 1987, per la bellissima isola dell’arcipelago toscano, un puntino nel grande “mare nostrum” rimarrà una giornata da raccontare nei tempi dei tempi. La rivolta! Parola che ha significati ancestrali ed evoca scenari di morte e distruzione.
Alle 10:30 di quella mattina al comando della Compagnia dei Carabinieri di Portoferraio arriva la telefonata. La telefonata che nessuno vorrebbe fare e ricevere. Nel carcere di Porto Azzurro è scoppiata la rivolta. Attimi di angoscia e sgomento che durano un lampo. Poi tutto ricomincia, come, cosa, perché, come è potuto accadere. Viene avvisata la magistratura, la politica, i vertici delle carceri. La macchina comincia a mettersi in moto.
A capo della rivolta Mario Tuti, persona ambigua con un passato di piccolo borghese: sposato con due figli, impiegato presso il Comune di Empoli, veniva descritto come una brava persona, tanto da essere raccomandato caldamente per un posto alla Cassa di Risparmio dall’arcivescovo di Firenze. Impiegato grigio di giorno, bombardiere di notte.
Tutto comincia alla “porta dell’ergastolo” per poi proseguire nell’infermeria dove cinque civili, diciassette agenti di custodia e undici detenuti sono tenuti in ostaggio. I rivoltosi sono sei compreso il capo. Il terrore regna sovrano. I rivoltosi vogliono un elicottero per lasciare l’isola, urlano: “non ci arrendiamo, non abbiamo niente da perdere”. Una situazione surreale da inferno dantesco.
Gli ostaggi vengono legati con le mani dietro e la faccia a terra, due sono torturati, appesi alle sbarre delle finestre come crocifissi e altri quattro, inzuppati di alcol stesi sul pavimento pronti per essere usati come torce umane.
Il sindaco del paese ha promosso un movimento di opinione: il partito dell’elicottero, con un logo: un elicottero stilizzato, azzurro con due galleggianti gialli. I cittadini ed i vacanzieri vogliono tornare alla loro tranquilla vita e vacanza elbana. Sono per concedere ai rivoltosi quanto chiedono; la sindrome di stoccolma, cioè il patto di solidarietà che si stringe fra rivoltosi e vittime, che ha un effetto collettivo e si sparge oltre le mura del carcere dove si sta consumando il dramma. Ecco le manifestazioni con cortei che attraversano la cittadina, la raccolta di firme, promosse dal sindaco, tanto che il ministero dell’Interno lo sospende.
Nel carcere arrivano i corpi speciali. Polizia e Carabinieri sono pronti per un blitz. Alla fonda il cacciatorpediniere F 581 della marina militare pronto a sparare.
L’infermeria del carcere è un macello. Grida, pianti, preghiere, la tortura della crocifissione, visibile dall’esterno, con gli ostaggi legati alle sbarre delle finestre, con il sole che complica le cose e aumenta le sofferenze. Una situazione kafkiana inimmaginabile, esseri umani trasformati in bestie.
Un carcere modello rischia, per colpa di invasati di tornare ai tempi dei sepolti vivi. Le energie e le idee innovative del direttore, sicuramente all’avanguardia rispetto ai tempi, minacciate da una rivolta anacronistica e fuori da ogni contesto.
Le porte del carcere si stavano chiudendo di nuovo, vanificando gli sforzi fatti, le aperture con i concerti organizzati di Francesco Guccini e Lucio Dalla, con migliaia di elbani confusi con i detenuti.
L’impegno riformistico delle carceri rischiava di andare perduto. Ma ecco il miracolo, frutto di scelte innovative, dove per la prima volta nella storia gli altri reclusi rifiutavano in tutti i modi di essere coinvolti in una insensata rivolta, e rimasero tranquilli nelle loro celle per tutto il tempo.
La Legge Gozzini stava dando i suoi primi frutti.
Dopo sette giorni i rivoltosi si sono arresi. Hanno consegnato le armi al direttore, che era tra gli ostaggi. Un riconoscimento al suo lavoro di direttore illuminato che durante la rivolta ha sempre continuato a mediare e trattare con gli ergastolani per trovare una soluzione.
Grazie al contributo di Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di prevenzione e pena, che si precipitò a Porto Azzurro per prendere in mano le redini della situazione, lo Stato aveva vinto.
La vittoria della ragionevolezza, della pazienza e dell’equilibrio. Uno scacco per gli amanti dei blitz che per i sostenitori del partito dell’elicottero.
Enzo Sossi
operatore penitenziario