Ultimamente avevo sentito parlare di un'isola maledet-ta: si vocifera che chiunque avesse intrapreso un viaggio verso quel luogo non avrebbe mai più fatto ritorno a casa. Non credendoci decisi di partire, ma se solo potessi tornare indietro, lo ammetto, non ripeterei l'esperienza.
“Ehi, Albert! Allora che fai oggi, ti annoi come sempre?”.
Ebbene, la persona che aveva appena parlato era mio fratello maggiore Edward: diciotto anni, molto alto, corporatura media, capelli corti e di colore castano chiaro, occhi di un bellissimo verde acceso sotto alcune luci anche giallastri. Io lo ammiravo molto, soprattutto perché sapeva fare qualsiasi cosa, di carattere era sempre gentile e pronto ad aiutare chiunque avesse bi-sogno di una mano, però c'era una cosa di lui che non potevo accettare, con me era sempre sfacciato, si crede superiore, su un altro livello.
“Edward, oggi andrò sull'isola che viene chiamata maledetta”
“Sei matto o cosa? Vuoi per caso morire?”
“Non credo a quello che si dice, dimostrerò a tutti che è solo una diceria”
“Va bene, ma verrò anch'io con te”
“Perfetto! Partiamo subito!”.
Prendemmo il necessario per il viaggio e partimmo con una piccola barca. Quel giorno il mare era calmo, di un colore cristallino, a tratti si riusciva persino a vedere il fondale. Durante il viaggio incontrammo due navi pirata, ma sfruttando a nostro vantaggio la velocità che la nostra barca aveva, in confronto alle due navi, riuscimmo ad evitare le palle dei cannoni e farle scontrare l'una contro l'altra. Dopo circa mezz'ora arrivammo all'isola:dal primo sguardo mi sembrò molto grande e notai che subito dopo la distesa di sabbia c'era una foresta piuttosto buia e inquietante. Appena scesi dalla barca trovammo davanti a noi una tribù abitata da persone di carnagione olivastra, dalla corporatura muscolosa e che non sembravano molto amichevoli, dato che ci puntavano le lo-ro armi addosso. Erano armati con lance, coltellini, ar-co e frecce. Io stavo dietro mio fratello, spaventato.
“Scusate per il disturb...”,
mio fratello aveva trovato il fiato necessario per pronunciare quelle poche parole e iniziare una conversazione, ma venne ucciso senza esitazione, trafitto dalla freccia di uno di questi uomini armati. Era successo tutto troppo in fretta, non capivo quello che era appena accaduto: vidi mio fratello morire in un modo così brutale, cadendo per terra con un piccolo gemito, rimanere immobile con gli occhi spalancati e un'espressione perplessa. Successivamente un uomo mi colpì appena sotto la nuca ed io persi i sensi. Quando mi risvegliai ero legato ad un palo con della paia tutt'intorno. Vidi tutto il popolo dell'isola che mi fissava con disprezzo: c'erano bambini, adulti e anziani. Una persona era vestita in modo diverso dalle altre, era molto più agghindato con un copricapo fatto di rami e conchiglie ed era attentamente sorvegliato da guardie, avevo intuito che era il capo. Stavano per dare fuoco alla paia, ma io non piangevo, non avevo paura, volevo solo rivedere mio fratello, pensai che forse morendo lo avrei rivisto.
“Aaaaaaaaah!!!”.
Fu quello l'urlo che rivolse l'attenzione di tutti verso il capo della tribù, che si era accasciato per terra e aveva iniziato a tremare. Gli era successo qualcosa, ma cosa? Era stato avvelenato, pugnalato o si trattava di un sem-plice attacco al cuore per via dell'età? Poi, all'improvviso lo vidi, vidi un piccolissimo insetto e mi ritornò in mente quello che mio fratello mi aveva detto qualche settimana prima:
“Guarda Albert. Questo è un insetto molto pericoloso, se ne vieni punto hai solo poche ore di vita, perché dentro di te si diffonde un potentis-simo veleno. Però i nostri medici hanno trovato un antidoto...”
Decisi di aiutare il loro capo, perciò urlai il più forte possibile:
“Slegatemi! È stato un insetto a causargli quella reazione, conosco l'antidoto, slegatemi!”.
Dopo qualche secondo di esitazione mi slegarono, io mi precipitai subito dal capo per vedere dove era stato punto:
“Portatemi dell'acqua, delle bende e trovatemi questa pianta”
Mentre mi procuravano quello che mi serviva, feci portare il capo nella sua stanza, trovai la puntura dell'insetto e dopo averlo medicato, mi assicurai che guaris-se, perciò rimasi tutta la notte a sorvegliarlo. Il giorno seguente il capo si era ripreso abbastanza, an-che se non del tutto.
“Mi hai salvato la vita, per questo motivo ti concedo di tornare a casa”, disse con voce arrogante.
Dentro di me volevo solo dirgli che questo era il mi-nimo per tutto ciò che avevo passato, ma ero troppo stanco per iniziare una lite, quindi mi limitai a chiedere il motivo della brutale accoglienza.
“Sai, per anni quest'isola è stata invasa dai pira-ti, ma appena siamo riusciti a diffondere la voce che era maledetta, abbiamo ucciso gli ultimi invasori e nessuno si è più fatto vedere”.
“Bene, ho capito, non dirò nulla a nessuno. Parto ora”.
Me ne andai subito, ma portai il corpo di mio fratello con me, per poterlo poi seppellire. Tornai a casa distrutto, piansi tutto il tempo e non dissi una parola al di fuori di uno scusa ed un mi dispiace. Di notte, Edward, mi apparve in sogno e mi disse:
“Stai tranquillo, non è colpa tua, sono io che ho deciso di accompagnarti, non fare cose troppo pericolose e fatti forza. Non dimenticarti di me, ma vivi felice la tua vita. Ti voglio bene”.
Dopo queste parole mi sentii più tranquillo e dopo un po' di tempo superai il dolore per la sua morte e capii di non dover agire sempre d'impulso.
Viola Cafagna e Ginevra Perez