Questa storia nasce da un pensiero puramente biologico-comportamentale: cosa farebbero dei bambini abbandonati a loro stessi? Da qui sono partito a ipotizzare che per qualche ragione nel mondo siano scomparsi gli adulti. Migliaia di domande sulla loro sopravvivenza mi venivano in testa. [...] È un libro che chiude la mia serie di romanzi sugli adolescenti. Non credo ne farò altri con ragazzini protagonisti. Anna supera tutti gli altri perché è l’unica completamente libera che fa un percorso completo di vita, non è condizionata dagli adulti ma può esprimere tutti i suoi pregi e difetti’, così Niccolò Ammaniti parla del suo romanzo Anna, edito da Einaudi nel 2015.
Lo scrittore è stato tra i finalisti del Premio La Tore 2021. La sua esperienza di sceneggiatore e di regista è prorompente nella trasposizione cinematografica della sua ultima fatica letteraria. Incredibile la profeticità del testo scritto cinque anni prima della reale pandemia che ci ha colpito e della cui trasposizione cinematografica ha curato la regia e la sceneggiatura. Nei titoli di testa si precisa che sei mesi dopo la conclusione delle riprese è scoppiata la pandemia Covid nel mondo reale. La qualità di Ammaniti scrittore, evidente anche nei saggi e nelle varie pubblicazioni che l’autore siciliano ha prodotto nella sua carriera prolifica e varia, trova l’apice nei romanzi. Citiamo per assonanza ‘Io non ho paura’ (Einaudi, 2001) e ‘Come dio comanda’ (Mondadori, 2006) entrambi oggetto di una splendida trasposizione cinematografica, alcuni anni orsono, da parte di Gabriele Salvatores. Le trasposizioni cinematografiche dei romanzi e in particolare di quella letteratura che ha per protagonisti i bambini o gli adolescenti può talvolta avere l’esito infausto di essere benevola e ammiccante. Non è accaduto per le ultime trasposizioni di Hansel e Gretel con il film ‘Gretel e Hansel’ (Gretel & Hansel), un film del 2020 diretto da Oz Perkins e neppure per il recente collodiano ‘Pinocchio’ di Matteo Garrone. Tuttavia nella versione filmica del romanzo di Ammaniti, complice il fatto che egli ne è regista e che in queste ore sui canali Sky è oggetto di una maratona trasmessa in anteprima assoluta, non c’è spazio per il dubbio. La crudeltà e la violenza non solo verbale, ma specialmente scenica e l’interpretazione dei giovanissimi protagonisti al limite del ‘politically correct’, in termini di tutela dei minori, pone l’opera ben oltre la serie televisiva ‘tout court’. Si potrebbero lodare diversi aspetti della produzione, dalle musiche a tratti epiche a tratti autoironiche, laddove si citano brani commerciali molto noti al pubblico, fino alla fotografia sempre con un accento alla sfocatura e con colori vivi e taglienti nelle scene più movimentate che poi divengono cupi e intimi in quelle più drammatiche. Come nel romanzo anche nella sua versione cinematografica i temi si sovrappongono e quindi il disastro epidemico è una ottima scusa per denunciare i paradossi della nostra società consumistica, specie quella dei concorsi televisivi o per amplificare il disagio della società perbenista verso la diversità, toccando temi piuttosto inusuali, specie nella cosidetta produzione commerciale televisiva, come l’ermafroditismo. Il romanzo segue le ritmiche cui Ammaniti ci ha abituato, in un caleidoscopio di emozioni che si susseguono senza apparente fine. Nelle sue versioni cinematografiche da sceneggiatore prima e da regista ora sembra che la macchina da presa sia davvero il prolungamento della sua penna in una delirante e a tratti sconvolgente visione per immagini: in questa produzione ogni elemento è portato all’estremo. Non è un romanzo per ragazzi e non è un film per ragazzi, a meno che i ragazzi non siano preparati. Del resto sul passaggio assai arduo che si deve compiere da un testo a un film ebbe a dire Federico Fellini ad amici a lui molto cari: ‘ vedi, tu scrivi c’è una sedia nel centro della stanza: non sai quanto lavoro devo fare perché quella immagine possa diventare la scena di un film…’. Nel romanzo il legame tra la giovane protagonista e il fratellino appare fortissimo e cuore del romanzo, nel film forse diventa ancora più intenso per la drammaticità dei toni e per la bravura del piccolo protagonista. Nell’amore per la madre morta che i due pietosamente compongono in casa lasciandola scheletro sul letto e nella forza con cui la sorella sfida tutto e tutti per cercare di salvarlo anche dopo il rapimento di cui è vittima, si ritrovano i tratti salienti dell’opera, che nel film è esaltata dalla complicità dei due giovani interpreti. La malattia nel romanzo colpisce solo gli adulti e seppure i bambini ne siano esenti nella sintomatologia vengono infettati lo stesso e appena adolescenti sviluppano il male, andando verso morte certa. I continui flash-back tra passato e presente, seppure siano pochi gli anni intercorsi tra le due fasi temporali sono l’aspetto più inquietante e attuale del film: il punto di incontro è spesso la morte dei condannati dal virus che vengono uccisi soffocati dai propri cari con buste di plastica per evitargli ulteriori inutili e sofferenze. Atroce la missione che un protagonista si dà di divenire un ‘missionario’ appunto dell’eutanasia con la complicità di un piccolo assistente da lui chiamato il nano, anch’egli orfano di madre, che ad ogni gesto estremo si pone sul corpo della vittima morente per sentirne uscire l’anima dal corpo nell’attimo del trapasso causato dalla busta di plastica. Tutta questa immane tragedia nel romanzo e nel film non scade mai però nell’eccesso o nello ‘splatter’, per citare i fondamentali della critica cinematografica. La penna insegue la macchina da presa e il contrario. L’ambientazione dell’opera in Sicilia è vivida nel testo e epica nel film: la salita sull’Etna dei protagonisti mischia la tragedia del virus con la perenne minaccia del vulcano.
In una conferenza stampa è lo stesso Ammaniti che ci spiega: (…) dopo aver concluso Anna come romanzo, ho continuato a pensare a questa storia per anni. Mi ero concentrato su di lei, una ragazzina che si trova in un nuovo mondo e ho raccontato come lo affronta, come diventa madre senza esserlo, cosa immagina del futuro, come riesce a superare i limiti della sua strana esistenza. Ma più passava il tempo e più altre storie emergevano nella mia testa, su personaggi che nel libro ci sono ma sono secondari - come quello della Picciridduna - e che invece potevano avere uno sviluppo maggiore, soprattutto nel passato. La serie mi ha permesso di ampliare il romanzo, scrivendo una storia corale. (…)
Invito caldamente a leggere il romanzo chi ancora non lo ha letto e a vedere il film, in replica continua in queste ore sui canali Sky, sempre più convinto che la ‘poliedricità e l’ingegno’ non manchino all’Autore per essere un degno prossimo vincitore del nostro premio.
Jacopo Bononi
Presidente del Premio letterario la Tore isola d’Elba