Durante un'estate degli anni '90 (dovete perdonate, ma non sono riuscito a recuperare le fonti, e quindi devo affidarmi alla memoria) avviene un episodio che pochissimi ricorderanno, ma secondo me fotografa bene il cambio di passo turistico che vivrà l'Elba. Il settimanale elbano “lisola” esce in prima pagina con un'immagine disneyana e un titolo che suona “All'Elba turisti paperini e non paperoni”. In pratica, giocando sulle figure stereotipe dello squattrinato Paperino e del ricco (peraltro anche avaro) Paperone, si intende che sull'isola ci sono tanti turisti ma con pochi soldi. Apriti cielo. La reazione degli stessi turisti e degli operatori è unanime: il giornale è accusato, con argomenti peraltro condivisibili, che i costi di un viaggio all'isola (soprattutto il traghetto) e della permanenza non sono propriamente da turisti squattrinati. La settimana dopo “lisola” esce con una prima pagina, in cui spicca la foto di un ridanciano Dario Fo e un titolo che (perdonate) non ricordo, ma suona come “abbiamo solo scherzato: all'Elba i turisti sono tutti paperoni”.
In realtà il periodico aveva centrato un bersaglio: molti elbani, soprattutto commercianti, pensavano veramente che il turismo ormai fosse in gran parte costituito da classi sociali che non portavano alcuna ricchezza. Cioè quelle stesse classi sociali che avevano creato la ricchezza passata degli elbani.
L'Elba, che in quegli anni si stava interrogando giustamente su un cambio di passo, partendo da critiche sensate, giunge a una soluzione discutibile, scoprendo la formuletta magica: “turismo d'elite”. Ovvero basta con il turismo popolare che affolla, non spende e crea solo disagi. Bisogna puntare su turisti di alto reddito. L'Elba non ha niente da invidiare ad altre località prestigiose, ma stavolta non vuole essere alla portata di tutti. L'offerta ricettiva inizia ad alzare la qualità e quindi i prezzi. Da più parti ci si preoccupa se la qualità offerta sia all'altezza o i servizi di base ottimali (ed è giusto farlo, sia chiaro), ma non ci si chiede se il prodotto Elba stia diventando solo un articolo di consumo, qualcosa di omologato e senza più un'anima unica e autentica, forgiata dalla nostra inestimabile storia e cultura.
Siamo quindi all'oggi, di fronte a un turismo costituito per grandissima parte da borghesia medio-alta. Sicuramente più danaroso, ma di un livello generale di cultura che si è discostato poco (se non è addirittura peggiorato) dalla pessimistica analisi pasoliniana di mezzo secolo fa. Per questo molti difetti che denunciava Gin Racheli trent'anni fa continuano ad allignare, e vengono adesso efficacemente ritratti da Sergio Rossi: gli orfani di Ibiza sono figli di quella a-culturazione borghese.
Per fortuna ci sono anche luci nell'offerta turistica degli ultimi anni. Sfruttando la moda (in questo caso nella sua accezione positiva) del trekking, l'Elba è fortemente attrattiva per gli escursionisti. In linea generale l'approccio ecologico è sempre più pervasivo nella società, soprattutto nell'offerta e la pubblicistica turistica. A fronte di un'offerta di intrattenimenti dozzinali, consumistici e omologanti (come le notti bianche, nelle sue declinate colorazioni), ci sono eventi culturali di assoluto valore: per citare gli ultimi, il festival Isola musicale d'Europa o gli Uffizi diffusi. L'agricoltura, dopo i nerissimi anni '80, dalla fine del secolo ha invertito la tendenza, tornando a essere un discreto settore produttivo, soprattutto puntando sulla qualità (spesso notevole), e inserendosi perfettamente nella filiera turistica. Da questo punto di vista è innegabile che l'Elba abbia fatto un bel passo in avanti.
E adesso? Possiamo guardare al futuro con pessimismo od ottimismo? Tireremo le somme nell'ultimo capitolo.
Andrea Galassi
Foto di copertina di InfoElba