Quando avevamo sui 14 – 15 anni, mettemmo su in una stanza della piccola ma labirintica casa di Franco Galletti (ma sarebbe meglio dire di Imperia) una palestra con attrezzi da bodybuilding rimediati, altri miracolosi ordinati per corrispondenza e altri realizzati con sbarre di ferro, cemento e bussolotti rubati in qualche cantiere edile.
La Bibbia e la guida per mettere su muscoli erano le prime carbonare riviste di bodybuilding di Roberto Pitturino e fu lui a suggerirci il nome di quella che nelle nostre intenzioni sarebbe dovuta diventare una fucina di titani muscolosi: “Palestra Vladimiro Capannella” in onore del suo idolo esibizionista di quelle riviste che, anche se era stato chiaramente battezzato così in onore di Vladimir Il'ič Ul'janov Lenin. era l’esempio da seguire per Roberto che poi prese una strada politica completamente diversa da Capannella e dalla nostra.
Il nome ci piaceva probabilmente perché era pomposamente serio ma non riuscivamo a prenderlo sul serio e anche oggi, quando ne parlo col Pitturino, ci scappa da ridere ricordando l’improbabile fauna – non solo di ragazzi - che bazzicava, con impegno o saltuariamente, quella palestra improvvisata da saltimbanchi.
Due episodi sono restati nella memoria del gruppo di amici più ristretto che si ritrovava in quella stanza. Il primo quando il Duca, che allora era il più magro di tutti noi, un giorno ci annunciò fierissimo: «Mi è nato un deltoide» e l’altro quando dopo mesi durante i quali eravamo arrivati (non tutti) a sostenere in punta di braccia 50 o 60 chili, ci provammo col nuovo bilanciere di cemento e bussolotti da 70 Kg. Nessuno ce la fece ad arrivare più su del mento e mentre eravamo lì che tentavamo di farci o uscire un’ernia o le emorroidi, entrò (in casa sua) Franco Galletti e ci chiese cosa stessimo facendo. Saputolo, guardò il bilanciere artigianale che era la nostra disperazione e la nostra sconfitta, si avvicinò, si mise di fianco, si chinò, afferrò la sbarra e, come se fosse niente tirò su con un solo fluido strappo, in punta di braccia, 70 chili con una mano sola. Poi ci guardò mentre noi lo guardavamo a bocca aperta e ci disse: «Visto, è facile».
Fu lì, di fronte a quella forza naturale che non aveva bisogno di esercitarsi, che molti di noi probabilmente capirono che la Palestra Vladimiro Capannella era in episodio e credo che solo Pitturino – che aveva una passione vera - abbia continuato a fare bodybuilding quando superammo la fase magnifica e ridicola dell’adolescenza.
Sì, perché la verità era che avevamo fondato la “Vladimiro Capannella” perché pensavamo che i muscoli servissero a due cose: impaurire i maschi e attirare le femmine. Non successe nessuna delle due cose e a Capodanno ci ritrovammo come sempre a passarlo tra di noi, primo perché i babbi e le mamme non avrebbero mai mandato le loro bimbe a una festa con noi, secondo perché le bimbe a Capodanno andavano alle feste con i ragazzi bravi, terzo perché le bimbe non ci pensavano nemmeno a venire con noi.
Allora, visto che già Franco Galletti si atteggiava a cuoco (e poi diventò un cuoco bravissimo), ci organizzammo per fare un cenone coi fiocchi, mica quelle robe con lasagne e zampone e verdure dorate e fritte che si facevano a casa. Franco tirò fuori una ricetta che allora sembrava moderna e paradisiaca: farfalle al salmone con panna, il secondo non me lo ricordo.
All’antipasto eravamo già così imbuzzati di schifezze che le penne al salmone facemmo tutti finta che ci piacessero davvero, poi continuando a mangiare anche se pieni, come si fa fino a scoppiare a quell’età, arrivò il rito attesissimo dello spumante stappato a mezzanotte e, mentre fuori sparavano già i primi petardi, sfrigolavano le miccette e le stelline e dalle finestre del vicinato volavano in strada piatti sbeccati, bicchieri incrinati, suppellettili varie e qualche vaso da notte e bestemmia, tentammo di far saltare un tappo di spumante che non ne voleva sapere.
Un’umiliazione, mentre scorrevano i secondi fatidici, per quella banda di imberbi che si credevano forzuti e che l’unico vero forzuto del gruppo cercò di ovviare impadronendosi della testarda bottiglia. Proprio mentre l’orologio rintoccava la mezzanotte il tappo partì come un missile Apollo della Nasa, ma il tragitto del suo volo fu breve: Franco per lo sforzo esercitato con entrambi i pollici sul resistentissimo tappo, si era avvicinato troppo al collo della bottiglia e il tappo di sughero rotondeggiante lo centrò in pieno nell’occhio, mandandolo steso a terra mente dalla bottiglia dilagava in fiotti di schiuma lo spumante maledetto che non avremmo mai bevuto.
Il tappo di quell’inizio di anno straordinario fece due cose che non sono mai riuscite a nessuno: mise KO Franco Galletti e gli procurò un occhio nero che gli fece male per giorni. Quel tappo ci dette anche un’altra lezione: puoi essere forte quanto vuoi ma arriva sempre una cosa inaspettata, magari piccola, magari desiderata, che ti può mettere al tappeto.
Noi ci divertimmo un casino, Franco Galletti parecchio meno.
Umberto Mazzantini