Antonio Pierulivo abitava nella zona sud-est di Vallebuia, la prosperosa campagna a nord di Seccheto. Il buio, sceso da un pezzo in quella sera di fine gennaio, aveva addormentato tutta la casa, ma non lui, l'unico rimasto in piedi. I ragazzi più grandi e la moglie, Teresa Lorenzi, che da poco aveva allattato la piccola Bruna, avevano già ceduto al sonno e alla stanchezza . Il silenzio governava i pensieri dell'uomo, tra le quattro pareti della cucina. Antonio sollevò il fiasco impagliato dal tavolo di legno e si versò una mezza porzione di vinella (1) in una tazza smaltata. Bevve d'un fiato la mistura e tirò un paio di volte dalla vecchia pipa di corbezzolo. Poi si alzò, scosse la pipa nel camino e scatizzò(2) un ceppo di scopa che non ne voleva sapere di spegnersi. Si diresse verso la porta e l'aprì: il gelo dell'inverno entrò d'acchito nelle sue ossa. Fece comunque in tempo a vedere il cielo stellato e la luna giocare a nascondino con Montecristo. Richiuse senza mettere il veracchione (3) ( non ve ne era bisogno) e sogghignando soddisfatto, si diresse verso l'unica camera da letto di quella dimora: la mattina successiva sarebbe stata propizia per andare a potare la vigna dietro casa.
Romualdo Rocchi abitava all'estremo nord-ovest di Vallebuia, nell'unica casa che si trovasse “Di Là Al Fosso” ^, protetta dal monte Cenno a ovest e dalla Valle dell'Inferno a nord. Spesso il fosso si indispettiva, tanto che bastava un semplice acquazzone per farlo gonfiare a dismisura, complicando la vita agli ardimentosi parenti e amici, desiderosi di passare la veglia serale dalla famiglia Rocchi. Dovevano improvvisarsi equilibristi, saltando da uno all'altro dei sassi che affioravano dalla corrente, nella speranza di non precipitare nelle acque limacciose. Tanto coraggio veniva premiato con abbondanti bevute di vino della botte e con i migliacci cotti sul momento e ripassati nel miele dalle miracolose mani di Elba Pisani, la moglie di Romualdo. Quella sera Romualdo esitava a prendere la via del letto. Sentiva che la piccola Adina, nata pochi giorni prima, si lamentava nel sonno e aveva paura che il lamento si trasformasse in pianto. La mamma, spossata dalle fatiche quotidiane e dai tentativi fatti per allattare Adina, si era addormentata dopo averle provate tutte, ma non c'era stato nulla da fare. La neonata aveva sempre fame e lei era senza latte. La bimba piangeva per la mancanza del latte materno. Avevano provato a darle quello della capra, ma il risultato era stato controproducente. Adina gustava il nettare caprino, ma poi non riusciva a digerirlo. Non rimaneva che cercare un'altra puerpera della campagna, una che avesse latte d'avanzo. Più facile a dirsi che a farsi. Per fortuna della piccola, Teresa Lorenzi, che di latte ne aveva per sfamare un esercito di lattanti, una volta venuta a sapere della situazione, si offrì volontaria. Ogni mattina , la poppante si attaccava voracemente al petto di quella nuova mamma: puppava di voglia, si addormentava sorridendo e dopo la faceva ancor più di gusto nelle pezze (4) che la sua mamma biologica le cambiava tre o quattro volte al giorno. Romualdo guardò il fondo del bicchierino verde che si rigirava tra le dita. Un ultimo gotto di marsala, avanzo dalle feste di Natale, lo aspettava. Si scolò il liquore e gettò la cicca della sigaretta fatta a mano nella cappa del camino. Sotto la cenere c'era un ciocco del vecchio pero seccato alla fine dell'estate . Solitario, cercava di emanare gli ultimi bagliori. Romualdo prese l'accatizzatoio e lo spense: inutile sprecare altra legna . Si diresse verso la porta e l'aprì: il freddo della notte lo fece barcollare, ma riuscì a lanciare un'occhiata alla stella polare, brillante come un faro nel centro del cielo. La luna no, quella era già scomparsa dietro la vallata dell'Ombria. Rabbrividendo, Romualdo tirò a sé l'uscio ( la chiave era rimasta, come sempre, all'esterno) e sorridendo soddisfatto, prese la via della branda: l'indomani sarebbe stato un buon giorno per andare a scoprire il masso (5) da tagliare nella cava di granito di Seccheto. La cava dove lui faceva il caporale.
Antonio si svegliò di soprassalto. Acuì l'udito. Il somaro ragliava con quanta forza aveva.
“ Dev'esse' entrata la mardola (6)nel pollaio. Ora mi sgozza tutte le galline. “
Schizzò fuori dal letto e sulle mutande lunghe infilò i calzoni aripezzati (7) di fustagno, quelli da lavoro. Indossò con gran fretta la camiciaccia del giorno prima, prese il pastrano di quando aveva fatto il militare e ficcò i piedi negli scarponi bullonati. Calcolò che fossero già le sette, ma era buio pesto. In cucina accese il lume a petrolio e aprì l'uscio di casa. Lo richiuse subito, non facendo però in tempo a evitare che la neve, caduta copiosamente durante la notte, dallo scalino esterno scivolasse dentro casa.
“ Altro che mardola!” , biascicò tra sé e sé Antonio. Tappatosi alla meglio, sortì fuori con la beretta incalcata sul capo e un chiozzero (8) in mano.. Nevicava ancora e non si vedeva a un metro di distanza. Affondando fino alle ginocchia nella coltre nevosa, entrò nella stalla dove il somaro continuava a ragliare. Lo accarezzò e gli mise un po' d'erba secca nella mangiatoia. Anche la capra, rannicchiata in un angolo ebbe la sua razione d'erba ,mentre Antonio la mungeva. La calma ritornò nella stalla , così Antonio potè indirizzarsi verso il pollaio. Le galline se ne stavano tutte accovacciate sull'asse del palo. Solo il gallo, inquieto, razzolava in lungo e in largo. Della mardola, nessuna traccia.
“ Meglio così”, pensò Antonio . Chiuse il pollaio e fece la strada all'incontrario.
Romualdo si svegliò di soprassalto. Il pianto della bimba rimbombava in ogni angolo della casa. Elba provava a consolarla, ma Adina sembrava non sentire ragione.
“ Ha fame”, disse la moglie al marito.
“ Vado a munge' la capra, così li fermamo la fame”, rispose Romualdo mezzo insonnolito. Sì alzò e sulle mutande lunghe indossò i pantaloni di tela della cava. Si rimise la camicia del giorno prima e anche la stessa giacchetta. Infilò una mano in tasca per cercare un fiammifero. Doveva accendere il lume a petrolio.
Trovò solo due scaglie di mattone . Gli servivano per le tracciature sul granito da tagliare. A tentoni raggiunse la scaffa e trovò i fiammiferi. Accese il lume e prese un chiozzero da sopra l'acquaio. Cercò d'infagottarsi alla bene meglio e aprì la porta: la richiuse all'istante. Nevicava di brutto.
“ Nevica”, urlò alla moglie. Subito dopo sortì con un cappellaccio in capo e il chiozzero in una mano. Sì, era buio, ma gli scalini di granito non avrebbe potuto vederli nemmeno con il sole, tanta era la neve che li ricopriva, almeno mezzo metro. Per scendere dalla scala esterna dovette attaccarsi al muretto di protezione e ben presto l'umidità gli arrivò fino alle cosce. Per fortuna la stalla era sotto le scale. S'infilò dentro e gettò un paio di manciate d'erba secca alla capra infreddolita. La bestia si fece mungere, docile.
Quando Antonio rientrò in casa , erano già tutti pronti intorno al tavolino. Teresa aveva allattato Bruna e l'aveva rimessa a dormire. Gli altri bamboli, aspettavano impazienti che il babbo portasse il latte appena munto. Lo avrebbero allungato con un po' di neve. In mano avevano un biscotto di somma dura da ciuttassi ( 9 ) nella tazza.
Antonio mise sul fuoco del camino un aveggino ( 10 ) con un po' di neve dentro. Quando la neve si sciolse e l'acqua fu calda abbastanza, vi diluì il surrogato. Prese una tazza e ne dette la metà alla moglie.
“ Ora come faccio”, chiese Teresa, mentre si scaldava le mani con il calore della tazza.
“ Che devi fa'?”, rispose Antonio che si asciugava davanti alla fiamma del camino.
“ Devo anda' a fa' puppa' la figliola di Romualdo”.
“ Co 'sso tempo? 'Un ci vai e basta”.
“ Che la faccio morì' di fame 'ssa bambola?”
Antonio non rispose subito. Presa la pipa sulla mensola del camino, s'infilò le mani in tasca, tirò fuori il trinciato forte e la riempì, pigiando il tabacco fino all'orlo. Accese con un carbone ardente.
Quando Romualdo rientrò in casa, trovò Elba che cullava Adina tenendola in braccio. Accese il fuoco nel camino e mise il latte della capra a scaldare. Prese anche la cuccuma è preparò il caffè per sé e per la moglie. Fecero colazione insieme, cosa che capitava raramente.
“ Ora come famo?” domandò Elba, mentre bagnava un pezzetto di pane d'anice nel caffè.
“ Che dovemo fa'?”. rispose Romualdo che tentava di asciugarsi i pantaloni infraciditi dalla neve.
“ Deve venì' Teresa a da' il latte alla bimba”
“ E come fa? Ci sarà mezzo metro di neve. Venirà domani.
“ Domani? Che la faccio morì di fame 'ssa bambola?
Romualdo non rispose subito. Prese il tabacco dalla scatola che teneva nel cassetto del tavolino e si fece una cartina con un vecchio foglio di giornale che serviva a foderare gli scomparti dell'armadio. Si chinò sul lume a petrolio e aspirò la prima boccata della giornata.
Antonio prese i calcerotti ( 11 ) che erano stesi ad asciugare accanto alla cappa e se li mise sopra le scarpe grosse,in modo che fossero aderenti ai calzoni da lavoro. Staccò il vecchio zaino militare dal muro , infilandoci un pezzo di pane duro e una fiaschetta di vinella. Infine, se lo mise sulle spalle. Aveva bisogno di quanta più energia possibile S'imbacuccò per quanto poteva e si rivolse a Teresa:
“ Copreti bene che andamo”.
La donna fece qualche raccomandazione ai figlioli , la più importante tra tutte quella di stare attenti alla sorellina più piccina, poi si coprì con uno scialle di lana e si mise dietro al marito. Quando Antonio aprì l'uscio, un fascio di luce proveniente dalla Punta di Fetovaia gli fece chiudere gli occhi.
“ In Corsica ci dev'esse' già il sole”, borbottò alla moglie. Prese la zappa che era appoggiata al muro, la scosse dalla neve e cominciò a scavare per liberare lo stradello. Lui avanti e la moglie dietro che zampettava dal freddo.
Romualdo usò due fili di rafia per legare i pantaloni della cava sopra le scarpe grosse. Prese la catana ,attaccata alla spalliera di una sieda e si avvicinò alla madia. Alzò l'utensile e dalla cassapanca sottostante tirò fuori un pezzo di lardo, un brandello di pancetta e una filza di salsicce. Il maiale che avevano allevato era cresciuto bello grasso e con l'aiuto di Umberto Montauti, un vero esperto del settore, erano riusciti a non buttare nemmeno un etto di carne. Avevano di che sfamarsi per tutto l'inverno e anche per buona parte della primavera. Fece un fagotto con tutto quel ben di Dio e lo infilò nella catana. Andò verso la dispensa e si versò un bicchierino di marsala. Era mattina , ma aveva bisogno di tutta l'energia possibile. Si sitemò i vestiti coprendosi come meglio poteva e salutò la moglie.
“ Se mi movo, in un paio d'ore pulisco il viottolo per fa' passa' a Teresa.
Aprì la porta e fu investito dal chiarore abbagliante che scendeva dal Cenno. Non nevicava più.
“ In Corsica ci dev'esse' già il sole”, disse a se stesso mentre scendeva le scale. Tirò fuori la pala dallo sgabuzzino del sottoscala e , dopo essersi sputato sulle mani, cominciò a spalare.
Antonio zappava via la neve da un'ora quando arrivò al bivio : il sentiero girava verso sud in direzione di Seccheto e proseguiva verso nord in direzione della casa di Romualdo e sua moglie. Mentre si asciugava il sudore dalla fronte, vide a una certa distanza un'ombra scura sul riverbero della neve. Era un'ombra con una pala in mano.
“ Strano”, pensò Antonio, mentre si ringobbiva per caricare la zappata.
Romualdo spalava via la neve da un'ora quando arrivò al bivio. Lui doveva mantenersi sulla sinistra, era quella la direzione da tenere per raggiungere la casa di Teresa. Si fermò per fare questa considerazione e scorse , non troppo lontano, due ombre scure sul riverbero della neve. Una delle due ombre aveva una zappa in mano. L'altra, zampettava.
“ Strano”, pensò Romualdo, mentre infilava la pala nel cuore della neve.
Poi le ombre diventarono persone e quando si raggiunsero, Teresa svelta svelta e a testa bassa sfilò accanto a Romualdo , allungando il passo sul sentiero ormai liberato dalla neve. I due uomini si guardarono, con i gomiti appoggiati sul vertice dei manici dei rispettivi attrezzi. Si salutarono.
“Oh”, fece Antonio ed era abbastanza.
“Oh”, rispose Romualdo ed era parecchio.
Antonio infilò una mano nello zaino e tirò fuori la fiaschetta. Tolse il tappo e la porse a Romualdo che senza appoggiarla sulle labbra , bevve una golata a garganella. Si asciugò la bocca con il dorso della mano e ripassò il recipiente al suo legittimo proprietario. Antonio si attaccò al collo della fiaschetta e tirò giù un sorso lungo e dissetante. Romualdo prese il fagotto che aveva messo nella catana e lo passò ad Antonio. Non ci fu bisogno di chiedere cosa ci fosse dentro. L'odore del pepe e del sale parlava da solo.
Antonio sistemò il fagotto dentro lo zaino, si mise la zappa su una spalla e salutò mentre si girava per tornarsene a casa
“Oh” , disse, ed era tutto.
Romualdo si ficcò in tasca la catana vuota e si mise la pala su una spalla, con il corpo già rivolto verso casa.
“Oh”, rispose, ed era più che tutto.
Intanto Adina succhiava beatamente il latte dal petto di quella grande mamma, che per darglielo aveva sfidato la neve.
Dopo molti anni, quando Teresa si calò in un tumulo del cimitero di San Piero, lo fece indossando un vestito che le aveva regalato Adina.
N.B.
1-Vinella= intruglio usato dai contadini con acqua passata sulle vinacce.
2- Scatizzò= da scatizzare, cioè smorzare o ravvivare il fuoco con un tirabrace metallico o un bastoncino.
3- Pezze= fasce di cotone o altro tessuto , lavabili, usate come pannolini per i bambini.
4- Veracchione= chiavistello.
5- Masso= conglomerato di graniodurite adatto alla lavorazione della cava.
6- Mardola= martora, carnivoro nemico dei pollai.
7- Aripezzati= dicesi di abiti recuperati con toppe, non sempre dello stesso colore del tessuto originale
8-Chiozzero= piccolo recipiente di alluminio o terracotta atto a contenere liquidi.
9-Ciuttassi= da ciuttare, cioè immergere in un liquido
10-Aveggino= da aveggio, pentola a due maniglie.
11-Calcerotti= calze di tela o di tessuto elaborate all'uncinetto, usate per proteggere dall'umidità le scarpe da lavoro e la parte inferiore dei pantaloni.
12 “Di Là Al Fosso”, residenza dei Rocchi assurta a località.
Adriano Pierulivo
- la foto d'epoca ritrae una già anziana Teresa Lorenzi protagonista della vera bstoria narrata -
Nota sull'autore e sul suo lavoro (di Stefano Bramanti)
Adriano Pierulivo, maestro elementare oggi in pensione, originario di San Piero, ed abitante di Seccheto in gioventù, ha trascorso lunghi anni a Livorno.
Vincitore di vari concorsi di poesia, Pierulivo in veste di autore e regista ha proposto testi di teatro in vernacolo con l'associazione La Ginestra del sudovest dell'isola.
Attualmente è mpegnato nella stesura di una pubblicazione che raccoglierà una serie di storie lontane nel tempo, legate ai propri familiari e agli amici, ricordi di vite comuni, ricche di sentimenti, storie come la vicenda oggi pubblicata ed una che vi abbiamo già proposto (“L'aspide di Adina”).
Il breve racconto proposto riproduce un quadro di vita nell'agglomerato sociale di Vallebuia, a nostro parere molto significativo.
In questi tempi di Covid e di guerra, di esasperato egoismo, la vicenda di quasi un secolo fa racconta un quotidiano esercizio di semplice e schietta solidarietà.
Nel passato, nei piccoli borghi soprattutto, sentimenti di fraternità e vicinanza scaldavano una vita spesso dura e risolvevano i problemi in agguato.