Coloro che sono stati condannati alla voga sopra una galera sono pagina importante della storia della città di Portoferraio sin dalla sua nascita.La storia di Portoferraio è indissolubilmente legata a queste persone condannate che sono i forzati alla catena della galera, anche se di esse poco ne parlano i libri di storia.
Sono i galeotti, una massa di individui "senza storia" e spesso senza nome, scomparsi dalla memoria collettiva,la cui importanza però contraddistinse l'intera storia marittima del Mediterraneo, in quanto forza motrice al remo di una galea.
I forzati al remo condannati alla pena della galea, i galeotti, contribuirono con la voga al remo al trasporto dei primi soldati inviati sull’isola d’Elba per porre le fondamenta di Cosmopoli nel 1548.
Uomini da remo sopra una imbarcazione navale chiamata galera dotata di propulsione mista a vela e a remi, caratterizzata da una folta ciurma, la cui presenza era fondamentale per il corretto svolgimento della navigazione. La voga a scaloccio, eseguita cioè con un unico grande remo mosso da più rematori, faceva aomentare enormemente il numero dei rematori presenti a bordo.
Ma è soprattutto con il lavoro oltre che con la voga al remo che i forzati hanno contribuito alla storia di Portoferraio come ad esempio terrapiazzando i bastioni, lavorando all’arsenale della galeazze e alle saline, pulendo le strade, dragando la darsena ed altro.
Una volta sbarcati dalla galera venivano rinchiusi in luogo chiuso, chiamato bagno.
Bagno si disse quel luogo rinserrato a serraglio dove si tenevano i condannati a remare sulle galere allorquando erano in terra.
Nome che sembra derivi dagli antichi bagni di Costantinopoli dove erano alloggiati i galeotti.
Da qui poi venivano prelevati ed inviati ad eseguire lavori utili per la comunità.
I rematori delle cinque galere ducali di Cosimo nel 1550 erano in totale 797 di cui 554 forzati al remo per espiare una pena e 243 gli schiavi, in genere infedeli catturati con la guerra.
I condannati al confino, i confinati, non potevano venire arruolati senza ordine specifico del Granduca (Cfr pg 78 “ Schiavi e Forzati “ in “Galere granducali e usi marittimi” C. Rospigliosi. Centro grafico elbano. 1998).
I Forzati rappresentano la maggioranza della ciurma della galea: sono tutti soggetti condannati per un reato che implicava la pena della voga al remo la quale al massimo poteva durare cinque anni.
Gli Schiavi invece, che formavano insieme ai forzati la ciurma, erano sempre soggetti infedeli o scismatici mai cristiani infatti dopo il 1000 il cristianesimo occidentale con i concili dell’epoca affrancò i cristiani dalla schiavitù continuando ad accettare quella degli scismatici e degli infedeli, quali i musulmani.
E’ sopra una galera del duca Cosimo che nell’aprile del 1548 arriva all’Elba il primo contingente di soldati. Cosimo aveva scritto al Vicerè di Napoli di avere predisposto mille fanti e quattrocento guastatori “per fortificar un sito che era a cavaliere al porto ferraio dell’isola dell’Elba“ per evitare che fosse occupato dai francesi al comando di Piero Strozzi.
Così scrive Cosmo I al Vicerè di Napoli l’ultimo di aprile del 1548:
“Io scrissi alli sedici del presente all’Ex.V. et li dissi che avevo messo in ordine mille fanti et quattrocento guastatori per fortificar un sito che era a cavaliere al porto ferraio nell’Isola dell’Elba alfine che detto sito non fusse occupato dai franzesi o da altri che cercano di disturbar la quiete di Toscana et di tutta Italia essendo luogo oportuno et di molta importanza tutta questa Provincia .Di poi essendo avvisato da Don Ferrando Gonz. Et Don Diego di Mendoza che Piero Strozzi s’era partito di Provenza et inviato verso Lione con buona banda di soldati su le galere franzesi per venir occupar quel sito dell’Elba ,hebbi però commissione da Don Diego di fortificarlo per S. M.ta con promissione di renderglielo ad ogni suo gradir; et fui ricercato di far tale promissione…
(Archivio Mediceo.Filza 11. C. 94/recto. 30 aprile 1548.Archivio di stato di Firenze)
Cosimo continua a scrivere al vicerè di Napoli affermando che conoscendo l’importanza di quel sito “che facilmente poteva occuparsi da altri” risolse di fortificarlo ,per ora di terra ,e mandò all’Elba col signor Otto e il signor Pirro soldati e le necessarie provisioni sopra una delle sue galere che ha messo in acqua.
“…,ma conoscendo l’importanza di quel sito che facilmente poteva occuparsi da altri mi risolsi…spesa di fortificarlo ,di terra per ora et così mandai all’Elba li soldati et le provisioni necessarie col Signor Otto et il Signor Pirro sopra una delle mie galere che ho messo in acqua sulla quale insieme con loro andorno circa centocinquanta soldati e giunti con detta galera sull’Elba quattro o sei giorni prima che vi arrivassero gli altri soldati….i primi con la galera ….. signori disegnavano il porto per dargli principio ,nello arrivo delle navi vi comparse una fusta di infedeli”
(Archivio Mediceo.Filza 11. C. 94/verso. 30 aprile 1548.Archivio di stato di Firenze)
“Una delle mie galere”, della quale parla Cosimo scrivendo al vicere di Napoli, arriva all’Elba spinta dalla voga del remo di una ciurma verosimilmente formata da schiavi turchi, algerini, tunisini catturati su navi nemiche e da forzati cioè da persone che condannate per qualsiasi reato decidevano di scontare la loro pena con anni di servizio sulle galere.
Nell’ordinamento penale feudale, il carcere inteso come pena, nella forma della privazione della libertà, non esiste. Il carcere medievale, punitivo e privatistico si fonda sulla categoria etico-giuridica del “taglione”, a cui si associa il concetto di espiatio, forma di vendetta basata sul criterio di pareggiare i danni derivati dal “reato”. L’unico tribunale è quello del signore,serenissmo padrone, solo lui emana gli ordini, a lui debbono obbedienza tutti coloro che hanno in concessione la terra o che vivono sui suoi fondi.
La prigione, o meglio la detenzione, era solo un passaggio temporaneo nell’attesa dell’applicazione della pena reale, cioè la privazione nei riguardi del “colpevole” di quei beni riconosciuti universalmente come valori sociali: la vita, l’integrità fisica (amputazioni) il denaro. La crudeltà e la spettacolarità assolvevano la funzione di deterrente nei confronti di coloro che intendevano trasgredire le regole imposte dal “signore”. Essendo la giustizia amministrata dal “signore”, le pene erano determinate in modo assai vario, secondo la volontà di questo. Le pene avevano carattere pecuniario o corporale, oltre all’esilio e alla galera, pena che prevedeva l’imbarco del reo come rematore nelle navi. Detenzione e tortura erano principalmente mezzi istruttori per ottenere la confessione dell’imputato, considerata la prova necessaria alla condanna.
Alla ciurma che era al remo della galera si aggiungevano le”bonevoglie”marinai spinti dalla miseria a svolgere questo duro lavoro spesso solo per la sicurezza di un pasto giornaliero,Tutti quanti venivano incatenati al banco di voga con anelli fissati alla caviglia.
Qui, vogando, spingono la galera solcando il mare.
L’uso della vela serviva per dare un pò di sollievo ai rematori quando c’era vento ,ma solo con essi, i rematori, si poteva andare avanti in bonaccia o con venti contrari o compiere rapide evoluzioni in battaglia.
Le condizioni di vita di questi uomini erano molto dure e alcuni preferivano lasciarsi morire di fame. Lucantonio Cuppano, governatore ,il 28 maggio 1552 deve giustificare la morte di quindici forzati “Ms Bastiano (Campana) ne ha scritto a Pisa dè forzati ne sono ammalti otto dei quali ne è morto uno fiorentino e è morto per non volere magniare e quello pigliava gli si dava a forza, qua sonno morti a questi dì da XV persone da poi ha fermato e se va migliorando” (Cfr pg 112 “Galere,sciabecchi e tartane nella rada di Portoferraio in “Galere granducali e usi marittimi” C. Rospigliosi Centro grafico elbano. 1998).
Alcuni disegni di Ignazio Fabroni (vedi foto), cavaliere del sacro militare ordine di S. Stefano imbarcato nel secolo decimo settimo su una galera granducale toscana, fanno vedere le galere della marina stefaniana granducale quasi come foto scattata in quell’epoca.
Nel disegno ”galera in giolito” cioè a riposo, il Fabroni fa capire come era la condizione della ciurma al remo dentro una galera, con voga a scaloccio: un gran numero di vogatori che remavano in uno spazio ristretto quale quello della galera che era di circa quaranta metri di lunghezza per cinque o sei metri di larghezza.
Nei disegni annotati dal Fabroni “poppa” e “prua di galera” l’attenzione è rivolta a due dettagli, a due zone importanti della galera: la poppa, riservata agli ufficiali, e la prua con lo sperone che permetteva di agganciare le galere nemiche.
Nel disegno annotato “galera alla vela” l’attenzione è rivolta alla navigazione a vela: su uno dei due alberi presenti sulla galera montato a proravia, il trinchetto, è aperta una vela.
Marcello Camici
Nelle immagini:
FOTO DI COPERTINA - Galera in giolito.
- Poppa. A sinistra prua di galera in giolito.
- Prua di galera
- Galera alla vela
I disegni sono tratti dall' "Album di ricordi di viaggi e di navigazione sulle galere toscane dall’anno 1664 all’anno 1667" conservato nel fondo Rossi -Cassigoli. Biblioteca nazionale centrale. Firenze. Ignazio Fabroni 1642/1693.