Nella logica evangelica, chi ha autorità deve esercitarla al servizio degli altri. Questo significa aiutare a crescere, a sviluppare le potenzialità di ognuno, quella ricchezza che ogni essere umano è in quanto personalissima imago Dei. Il vangelo odierno parla del Buon Pastore. Dio stesso è il pastore che ha un legame familiare con le pecore che conduce e protegge.
La prima osservazione riguarda appunto questo legame. Gesù rivela una realtà divina che è desiderio di intimità con l'uomo. L'uomo che corrisponde, aprendosi a tale desiderio-ricerca divina, ha la possibilità di sperimentare la condizione di figlio amato, che a sua volta espande la sua capacità di amare in modo gratuito e universale. Tale esperienza, oltre l'aspetto sentimentale-emotivo-logico razionale, è partecipazione alla relazione fra il Padre e il Figlio, cioè alla vita dello Spirito (“vita eterna”). La prossimità emerge come una caratteristica del rapporto fra chi ha autorità e gli altri.
La seconda osservazione, che nasce dalla lettura del testo nel suo contesto (l'intero capitolo 10 di Giovanni), è che esiste un'alternativa nell'esercitare l'autorità: la promozione di sé (autoaffermazione, possesso, potere) o quella dell'altro che gli è affidato (essere per, dare la vita per l'altro). La prima modalità tende a fare degli altri una massa di “pecoroni”. Invece, le pecore che – anche inconsapevolmente - seguono il pastore buono e bello sono quelle di cui si parla nel capitolo 25 del vangelo di Matteo (quelle che hanno servito Cristo nei più piccoli: affamati, ammalati, carcerati, stranieri...). Qui appare evidente un'altra caratteristica dell'esercizio d'autorità: il servizio. Ed è ciò che mette in crisi chi invece si fa chiamare benefattore ma compie scelte opposte al servizio (cfr i potenti delle nazioni in Luca 22, 24 e seguenti). Con applicazioni anche al rapporto con la natura: servizio alla vita presente e futura o sfruttamento?
Terza osservazione. Gesù dice: “nessuno strapperà le pecore dalla mia mano”. La preziosità di ciascuno viene pagata da Dio a caro prezzo (il Figlio dà la sua vita per restare fedele al progetto di fraternità). Chi segue Gesù non è solo né abbandonato, anche quando la fedeltà a Dio lo spinge a disobbedire alle leggi umane per obbedire alla propria coscienza (principio di libertà e responsabilità). Un'altra caratteristica dell'esercizio dell'autorità è la fedeltà alla propria coscienza che, talvolta, può portare ad agire controcorrente.
Conclusione. Ognuno di noi è o è stato o sarà autorità per altri (dal genitore all'insegnante, al capoufficio al leader politico/sportivo/associativo/religioso o in tanti altri casi). Le parole di Gesù interpellano tutti sulla prossimità, il servizio, la fedeltà e smantellano le strutture piramidali svuotandole dall'interno. L'umiltà è consapevolezza dei propri pregi e difetti, dei punti di forza e delle debolezze, degli slanci e delle inerzie, dei sogni e degli sprofondamenti. Solo chi, con umiltà e gradualità, è disposto a sacrificare se stesso per gli altri è credibile: dimentico di sé, vive proiettato nell’altruismo e nell’attenzione ai bisogni altrui. Un cammino di libertà, propria e altrui, che è la bella avventura dell'uomo.
(8 maggio 2022 – 4 Domenica di Pasqua)
Nunzio Marotti
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