Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. Gli indiziati sono già in buon numero. Ma a questo punto, come suolsi dire, la trama si complica.
Scriveva Bartolommeo Sestini che il riese è il più elbano degli elbani. E il vostro affezionatissimo detective è concorde. Caso chiuso, dunque? Calma, è un indentikit da studiare con cura.
Viene anche chiamato buchinaio, poiché il Buchino è una parte della sua casa, a quanto si dice, dove il riese pose la prima pietra. Non è ben chiaro se l'appellativo sia una prova d'affetto o di dileggio. Nella famiglia elbana è meglio non porsi questa domanda: il confine tra la simpatia e l'astio è molto labile per questa schiatta.
Anche per il riese la data di nascita è incerta. Potrebbe essere il Medioevo, anche se non è da escludere un periodo più antico. Certo non quanto vorrebbe farvi credere il riese stesso. Ma questa è una delle sue peculiarità: il riese ama l'esagerazione. Specialmente se vellica il suo ego. Quando il riese assiste, per esempio, a un'eclissi di sole, è capace di dirti: “O questo lo so fa' anch'io!”
In tutto il suo passato ha cercato di farsi passare in ogni modo come il decano di famiglia. Gianfranco Vanagolli scopre che nel XVII secolo, quando il titolo di anzianità era un certame tra capoliverese e riese, questi arrivò perfino alle carte bollate pur di affermare la sua primogenitura. Con un documento piuttosto articolato, il riese cercò di accreditarsi nientedimeno che figlio di Anco Marzio.
Con il progresso delle ricerche, si scopre che marcianese e campese hanno avi nell'età del Bronzo. Il riese non può accettarlo. Si mette quindi a indagare ogni pertugio, e scopre nella grotta di San Giuseppe, poco sotto casa sua, le prove che ha un avo dell'Eneolitico. E anche piuttosto evoluto, nota enfiando il petto. Ma la mazzata arriva quando si scopre che in alcune parti dell'isola, perfino in casa dell'ultimo arrivato, il laconese, ci sono prove di avi del Paleolitico. E a casa sua niente. Sembra che, caduta l'ultima illusione, si sia messo l'anima in pace. Ma non stupitevi se, senza troppa pubblicità, stesse affannosamente cercando prove che suo padre è l'australopiteco.
Altro esempio di come gli piaccia sentirsi il meglio del bigoncio. Alla metà del Cinquecento il rissoso ottomano corca di mazzate un po' tutti i membri della famiglia. Ma col riese ce l'ha in particolar modo, perché lo pesta tre o quattro volte di fila, e gli ammazza pure il fratello grasserese. Il nostro eroe però lascia che la memoria dei parenti decanti un po', e poi si scrive una sua storia apocrifa. Lo sbarazzino si inventa così che gli ottomani arrivano a casa sua, fanno una breccia nel muro, e mentre vi entrano uno alla volta, lui, mannaia in pugno, spicca teste a man salva. Mette quindi in fuga i superstiti e, salendo sulle mura, urla loro: “Site un branco e 'un ce la fate a piglià du' case e un forno!” Ovviamente non ci crede nessuno, ma il riese è così: un simpatico spaccone, come quelli che la sera prima hanno ricevuto un due di picche dalla vicina, ma il giorno dopo al bar raccontano di aver abbordato miss mondo.
Per certi versi anche a lui, come al capoliverese, non giova essere considerato un decano di famiglia. Anche il riese viene zimbellato dai parenti per la sua caratteristica parlata, molto cantilenante, sebbene sia forse l'unica della famiglia che risente mirabilmente di molteplici influssi, tanto dalla Toscana interna che dalla Maremma. E questo dimostra quanto questa plaga sia stata uno snodo cruciale di influssi culturali e sociali in ogni periodo storico, spesso perno di un'ampia area mediterranea e non solo toscana, per motivi lavorativi ma anche drammatici come le invasioni. Insomma, chi buoni affari voleva fare, a casa del riese doveva venire.
Inoltre i parenti lo considerano un cugino duro di comprendonio. E non si capisce davvero perché, in quanto dalla sua schiatta sono uscite personalità di un certo peso culturale. Il suo carattere sarà anche rozzo e sanguigno, ma è spesso stato al servigio di ideali e lotte politiche e sociali di prim'ordine. Se oggi abbiamo molti diritti in più rispetto al passato, lo dobbiamo anche alle sue battaglie.
Il riese è oltremodo un cuoco provetto. Buona parte della cucina di famiglia è formata da prelibatezze che giungono dalla sua tavola, quali la schiaccia briaca, la sburita di baccalà e il gurguglione. Tutti piatti che invero sono variazioni di altre cucine. Ma questo fa poco conto. Anzi, dimostra quanto già detto: che il nostro è permeabile alle tradizioni mediterranee, che altri popoli gli hanno insegnato. E anche qui verrebbe da dire: altro che duro di comprendonio! Tuttavia non fate l'errore di dirgli: la tua cucina è la migliore dell'Elba. Il riese vi fulminerà come se aveste bestemmiato in chiesa. Tanto da dovervi immantinente correggere: scusa, volevo dire la migliore dell'orbe terracqueo!
Stava invecchiando meravigliosamente, senza un benché minimo acciacco, ma a un certo punto gli è accaduta una disgrazia. È nato il fratellino piaggese. E questi fin da subito ha mostrato di essere più bello, atletico, ricco e intraprendente. Si è quindi emancipato presto dal germano anziano, mostrandogli, anche con una certa dose di ruvidezza, che poteva benissimo fare a meno di lui. Ma soprattutto gli ha strappato di mano (orrore!) il titolo nobiliare più ambito dalla famiglia, quello di cavatore. Altre qualità gli ha sbattuto in faccia, ma le vedremo meglio quando faremo il suo identikit.
Una cosa però va ricordata in questo dossier, perché è uno snodo importante per la storia del riese. Ebbene, il nostro ha sempre fatto il filo a una bella ragazza, Caterina, sua vicina di casa, alle pendici di monte Serra. La fanciulla gradiva le attenzioni del suo maturo spasimante. Ma un giorno si presenta davanti casa sua pure il piaggese. E Caterina certo rimane colpita da questo ragazzo bello e pieno di risorse. Insomma, tra il riese e il piaggese iniziano a volare parole sempre più forti (“Piaggè, Caterina è mia!” “No, santo diavolone, Caterina è mia, buchinaio!”), e poi nocchini anche più forti. Non risulta che lo scontro abbia avuto un vincitore, ma una cosa è certa: in passato al riese sarebbero bastate du' ciaffate per mettere al posto suo l'impertinente germano. E invece stavolta il bimbo mazzolava come un cavatore, segno che il mestiere lo aveva imparato bene.
Il riese ha quindi capito che ormai era invecchiato, e che da quel momento era meglio godersi la tranquillità di casa sua. Da buon anziano, ha quindi iniziato a vivere di ricordi, raccontando con nostalgia il suo glorioso tempo che fu, quasi il futuro lo interessasse poco. Non solo ha perso tutti i suoi titoli nobiliari (e non è che ai parenti sia andata meglio), ma non ha neanche intrapreso con convinzione il mestiere turistico. Cosa che lo mortifica come tapino, agli occhi della famiglia. Ma il riese si compiace di non avere la casa chiassosa in estate, e di procedere ai suoi ritmi. E, chissà, forse il tempo gli darà ragione.
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, la trama si complica non poco. Infatti, se l'analisi di Sestini, riportata all'inizio, è corretta, il caso del riese riesce esemplare: non si capisce se possa essere annoverato tra gli indiziati, i complici o i testimoni, magari reticente. Se non addirittura la possibile vittima del mistero. Da tenere assolutamente sotto controllo.
Andrea Galassi