La Fondazione Villa romana delle Grotte, con il patrocinio della sezione Arcipelago Toscano di Italia Nostra, ha garantito anche quest'anno la continuità del lavoro degli archeologi. Le recentissime nuove scoperte durante gli scavi, presso la villa delle grotte a Portoferraio, effettuati dagli archeologi dell’Università di Siena, sotto il coordinamento del Prof. Cambi e della prof.ssa Pagliantini, riportano all’attenzione di tutti noi quanto sia stato importante per i romani ingegnerizzare la ricerca e la conservazione dell’acqua.
I risultati degli scavi sono attualmente sotto la lente di ingrandimento degli studiosi per capire veramente quale fosse il vero utilizzo di questo accumulo di acque che confluivano in due grandi cisterne a servizio della villa.
A tal proposito riportiamo un articolo della Pagliantini che descrive i particolari delle scoperte fatte fino al 2021 che già facevano ben capire quale fosse la grande perizia dei romani.
"Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso" (Plinio il Vecchio)
Il legame tra l’acqua e l’uomo è sempre stato molto complesso, soprattutto nelle epoche passate e per di più su di un’isola, dove la ricerca e la conservazione delle acque ha richiesto in passato una cura e una dedizione ancora più intensa.
In epoca romana il consumo di questo bene preziosissimo era imponente: l’acqua non era necessaria solo per gli usi alimentari e domestici ma anche per i bagni pubblici e privati, per le piscine delle dimore più lussuose, oltre che per gli opifici e per l’abbeveramento degli animali.
La necessità di un costante approvvigionamento idrico spinse i romani ad ideare un ingegnoso sistema di captazione, incameramento e ridistribuzione delle acque potabili, attraverso la costruzione di monumentali acquedotti e cisterne: tutto aveva inizio con l'importantissimo lavoro di ricerca delle sorgenti e delle vene acquifere da utilizzare, le quali, oltre alla qualità, all'abbondanza ed alla regolarità del flusso dell'acqua, dovevano rispondere anche all'essenziale requisito dell'altezza, indispensabile a fornire la giusta pendenza alla conduttura.
Le cisterne, la cui capacità poteva variare da poche decine di litri a migliaia di metri cubi d’acqua, furono quindi costruite allo scopo di intercettare e raccogliere acque sorgive e piovane, per costituire una riserva cui attingere durante l'anno, soprattutto in quelli più siccitosi, in maniera tale da assicurare una fornitura il più possibile costante nel tempo.
La conservazione dell’acqua ed il suo progressivo utilizzo erano rese possibili grazie all’avanzata tecnica costruttiva: questi ambienti erano infatti perfettamente impermeabilizzati tramite una speciale malta, il “cocciopesto”, composta da una miscela di calce, sabbia o pozzolana e frammenti di terracotta.
Splendidi e ben conservati esempi di queste strutture sono ancora oggi visibili presso la Villa romana delle Grotte, costruita agli inizi dell’impero di Augusto (fine I secolo a.C.) per il riposo e l’otium dei suoi facoltosi proprietari.
La villa conserva ben due cisterne destinate alla raccolta dell’acqua: la cisterna sotterranea che si trova all’interno della villa e la cisterna superiore, ubicata a sud est della villa stessa e separata da questa dalla Strada Provinciale che mette in comunicazione Portoferraio a Porto Azzurro.
Queste strutture erano caratterizzate da due funzioni distinte, ovvero la raccolta dell’acqua piovana per la cisterna inglobata nel complesso residenziale della villa, e la canalizzazione delle acque sorgive per quella ubicata a monte sulla strada provinciale.
Grazie a questo semplice e allo stesso tempo ingegnoso sistema, la villa romana poteva quindi essere perennemente rifornita d’acqua, necessaria non solo alle funzioni alimentari ma anche per l’alimentazione delle piscine, delle fontane e delle terme di cui la villa era dotata.
Passeggiando lungo i viali del parco archeologico non è difficile immaginarsi lo scintillio delle acque della monumentale piscina, che precipitavano nel piccolo ninfeo della terrazza sottostante, e che destavano meraviglia e stupore in chiunque giungeva dal mare e approdava nel golfo di Portoferraio.
Sarebbe auspicabile che questi studi e queste tecniche fossero apprese e messe in pratica da coloro che al giorno d’oggi hanno la responsabilità di gestire al meglio l’approvvigionamento idrico della nostra isola.
Infatti, anzichè affidarsi a progetti insensati a forte impatto ambientale, in primo luogo è necessario fare tesoro di queste secolari esperienze che dimostrano come si possa conservare l’acqua piovana che all’Elba c'è, ha una consistenza media di circa 49 MC/anno e quindi bisogna solo ingegnarsi per convogliarla e conservarla.
Ci auguriamo, quindi, che anche alla luce di queste nuove scoperte ci si convinca dell’inutilità della realizzazione di un impianto di desalinizzazione e si proceda invece secondo i canoni e le tecniche di chi, duemila anni fa, sapeva come gestire al meglio le risorse naturali.
Leonardo Preziosi
Italia Nostra - Sezione Arcipelago Toscano