La storia di Riccardina e Ficasecca è arrivata fino ai loro parenti in Brasile che conservano ancora il cognome di Sergent, pronipoti di marcianesi/francesi emigrati che parlano portoghese/brasiliano, hanno un cognome francese e sognano ancora la Marciana dei racconti e delle fiabe. Incroci di razze e destini di un piccolo popolo migrante.
Questa è invece un’altra storia che mi ha raccontato il maestro del Filetto Luca Polesi, pronipote di Riccardina e dell’innumerevole schiatta di femmine zie del su’ babbo Alessandro (ma che a Marciana tutti chiamavano Sandrino), che era emigrato da Marciana molto più vicino: a San Piero. Luca però quasi tutte le domeniche veniva trascinato – di malavoglia – a Marciana a trovare quelle prozie balzane e pie dalle quali non poteva sfuggire senza prima aver inzuppato dentro un bicchierino di vermouth, come in un rito, quasi una Comunione, i savoiardi che un trio di zie zitelle aveva comprato apposta per lui. Luca partiva da San Piero, risalendo col babbo la strada allora quasi deserta del Perone, convinto che a Marciana si sarebbe annoiato a morte con quelle vecchie prozie premurose e invadenti. Ma poi sentiva storie come questa che ricorda ancora oggi che è un uomo alto e barbuto che trasforma ferrivecchi in meraviglie e animali fantastici.
Ecco la storia:
Maria si era sposata giovane giovane, con un ragazzo che doveva partire per la guerra del 15–18 e che da quella guerra non tornò perché gli austriaci lo ammazzarono dopo due mesi. Bastò uno sparo, la prima pallottola di piombo, e Maria diventò vedova e tornò a fare una vita comunitaria da zitella con le due sorelle che non si sarebbero mai sposate e che forse non hanno mai conosciuto amore d’uomo: Delia, che visse per tutta la vita con la paura che qualcuno la strozzasse e che il nipote, il babbo di Luca, si divertiva a far trasalire di terrore appoggiandole semplicemente due mani sulle spalle, dietro la nuca, e Assunta, il maschiaccio di casa, con le mani callose e che dava ordini come un uomo anche agli uomini e che i maschi li teneva alla lontana con un carattere pungente come un riccio di macchia e una forza non comune.
Le tre sorelle Ricci erano tutte cattolicissime – a differenza di qualche pecora nera della famiglia che aveva sdirazzato e scelto l’anarchia – ma Assunta aveva uno strano rapporto con il Padreterno e preferiva parlare col Figlio più che con il Padre e, quando le cose andavano storte, la discussione tra lei e Gesù trascendeva in qualche moccolo – a volte una catena e una cascata di moccoli coloriti - che Maria e Delia ascoltavano con rassegnato scandalo per una sorella forte come un uomo e che bestemmiava come i pescatori e i marinai marinesi, senzadio e socialisti.
Quell’anno si annunciò come molto freddo, con la neve già a fine ottobre che poi – in pieno inverno- avrebbe sepolto Marciana impedendo alla gente perfino di aprire l’uscio di casa e da Fuoriporta, ancora in primavera, La Marina sembra le Svalbard (se qualcuno avesse saputo cos’erano e dov’erano le Svalbard), con i tetti, la spiaggia e gli scogli del Cotone coperti di neve e i guzzi congelati come i pescatori.
Ma se i marinesi scamosi pativano il freddo, i marcianesi castagnai lo pativano anche di più e la legna scarseggiava già a novembre. Assunta, data un’occhiata alla scorta di legna che non c’era più, mangiata già tutta da un camino ingordo, disse a Maria e Delia: «Bisogna anda’ a fa’ legna pe’ scaldassi, sennò co’ sto diaccio morimo tutte». E le tre sorelle Ricci, intabarrate e con le ristaie in mano, partirono verso il Bollero che già nevischiava, sotto un cielo grigio che ti infreddolivi solo a guardarlo.
Mentre batteva i denti, passata la Madonna del Monte e raggiunta Serraventosa, Assunta cominciò a parlare con il figlio di Dio: «Gesù caro, dacci un’occhiata a tutt’e tre», ripetendo la preghiera diventata litania perché Cristo la sentisse davvero, come in un telegrafo celeste, un telegramma portato dagli angeli.
Ma Gesù era evidentemente distratto dalle troppe richieste che venivano dai marcianesi, o gli angeli erano troppo infreddoliti e così Maria, mentre faceva le prime legne, forse ostacolata anche dal mignolino arronchiato che gli aveva procurato un incidente accadutole prima del suo effimero matrimonio, scivolò su un liscione gelato, non riuscì a tenersi e si troncò una gamba. Lì, in mezzo al nulla lontano da Marciana e dalla famiglia del farista che allora viveva ancora in cima al Semafero.
Assunta e Delia corsero a soccorrere la vedova di guerra e si accorsero subito che la situazione non era per niente bella: la gamba di Maria era piegata dall’altra parte rispetto a dove avrebbe dovuta essere: spezzata come uno dei savoiardi che il pronipote Luca zuppava nel Vermouth.
Di fronte a quella situazione drammatica: tre donne sole in un deserto gelato, ad Assunta venne subito in mente di chi era la colpa e rivolta a Gesù che non aveva ascoltato le sue preghiere, alzando gli occhi in lacrime verso il cielo indifferente gridò: «Cristo, che c’hai stamani nell’orecchi? Cavoli». Anche se la prima e l’ultima parola non erano esattamente quelle.
E, evidentemente, quell’appello blasfemo e disperato riuscì a penetrare tra le nuvole e così, poco dopo, mente Maria piangeva di dolore, Delia di preoccupazione e Assunta di rabbia e bestemmie, passò di lì un carbonaio con il suo asino carico e un mulo scosso e caricarono Maria sull’animale per ritornare indietro a Marciana e poi, dopo un lungo viaggio, all’ospedale di Portoferraio per raddrizzare quella gamba squadernata. Assunta restò un po’ indietro rispetto a quella processione di donne, carbonai e quadrupedi neri sulla neve bianca, e camminando ingobbita e a capo chino con la fascina di legna sulle spalle parlò con Gesù per chiedergli scusa, ma mica tanto…
Umberto Mazzantini