In ricordo di Giorgio Barsotti, che ci ha lasciato ieri, la recensione che feci qualche anno fa a un suo lavoro autobiografico, in cui si raccontava come studente e successivamente come insegnante.
Il volumetto di Giorgio Barsotti “Tra banchi e cattedre”, Edizione Myra, si concentra sulle esperienze studentesche e didattiche dell’autore, fino all’ultima sezione, altrettanto coinvolgente, del suo personale ritorno alla condizione di studente universitario, una volta conclusi, con la pensione, gli impegni lavorativi. La vicenda, raccontata con un linguaggio piano, scorrevole, spesso soffuso di ironia e autoironia, è emblematica dell’uomo, della sua indole e dei suoi valori.
Tra i quali, ai primi posti, si colloca la conoscenza: la sete, direi, di conoscenza, che Giorgio ha avvertito sempre, rispondendo con saggezza alle sue sollecitazioni. Un’esistenza, perciò, la sua, che, oltre a snodarsi lungo i binari dei sicuri affetti familiari e amicali, e all’esercizio delle virtù dell’onestà, sensibilità e solidarietà, ha avuto come stella polare il sapere. "Fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir valore e canoscenza" fa dire Dante a Ulisse nel XXVI° dell’Inferno, per spingere i suoi compagni a superare le Colonne d’Ercole: probabilmente queste parole sublimi hanno riecheggiato a lungo nell’animo di Giorgio e mi piace pensare che siano state il fil rouge della sua vita.
Ma accanto al nobile intento, sistematicamente perseguito, un altro aspetto fortemente positivo del presente lavoro è la sincerità che lo attraversa, dalla prima all’ultima pagina. Giorgio non tace i piccoli insuccessi e le relative insoddisfazioni, le difficoltà e le frustrazioni: le mette nero su bianco e ne fa altrettanti stimoli per migliorarsi, per progredire nella sua funzione discente e docente e nella costruzione della sua umanità.
Della vita da studente racconta i disagi del trasferimento dalla sua piccola Isola alla città universitaria, il sacrificio dell’adattamento e delle relazioni con professori a volte burberi e scontrosi, ma anche la gioia di apprendere, di mettersi alla prova e di superare con sempre minore fatica la corsa ad ostacoli degli esami. La vicenda dello scrittore è simile a quella di tanti altri elbani, che tutt’oggi sperimentano sulla loro pelle la necessità di dover vivere fuori dell’Isola alcuni momenti topici della vita – il tempo della formazione universitaria, il tempo di usufruire di una sanità d’eccellenza – e dunque provano i limiti dell’insularità e la croce, oltre che la delizia, di essere isolani.
Ma, accanto a questo, si narra la soddisfazione di entrare gradualmente nella dimensione di una realtà altra, rispetto a quella italiana, seppure a lei vicina: quella della cultura francese, che non vuol dire soltanto acquisizione e poi padronanza della lingua nella sua dimensione formale e informale, ma anche accesso alla sua splendida letteratura e a una mentalità inedita. I soggiorni parigini sono descritti con ampiezza di particolari e con la capacità di ricreare un’atmosfera, un milieu non solo geografico, ma spirituale e umano, di grande suggestione.
La parte centrale del libro racconta invece il Giorgio docente, che siede dietro la cattedra e ha davanti a sé quei banchi a cui, non troppo tempo prima, stava seduto. E’ il racconto dell’impatto, sempre temuto da parte degli insegnanti alle prime armi, col mondo dei ragazzi, degli adolescenti inquieti, con le loro sfide e la capacità di indagare e giudicare i professori fin dal primo sguardo, intuendo chi sono, come si comporteranno, se riusciranno a conquistarli o deluderli, se avranno autorevolezza senza essere autoritari. Una sfida, non solo cognitiva, ma generazionale.
L’autore riesce a superare con successo la prova, i suoi allievi da subito capiscono che hanno davanti un insegnante serio, preparato, ma attento ai problemi, non solo scolastici, di ciascuno, e disponibile all’ascolto. Del resto, quello che offre è il meglio di una letteratura di prim’ordine; il suo poeta preferito è Baudelaire e non gli ci vuole molto a persuadere gli studenti della bellezza dei suoi versi: con quel poeta, precursore del simbolismo, il visibile e l’invisibile diventano tutt’uno, i colori e i suoni si corrispondono, i profumi possono essere freschi come carni di bimbo o carichi di sensualità e cantare i lunghi rapimenti del corpo e dell’anima. Giorgio è lì, con i versi e le pagine più belle della letteratura francese, i ragazzi avvertono il suo coinvolgimento razionale ed emotivo e l’assecondano, a loro volta conquistati.
L’ultima parte del libro è dedicata al ritorno all’Università, una volta raggiunta la pensione. Piuttosto che bighellonare per casa, curare l’orto, andare a pesca, o leggere sulle panchine dei giardini pubblici, attività che, in quelle modalità, mai gli erano state congeniali, l’autore decide di mettersi nuovamente alla prova. Studiare, studiare altre discipline, scoprire nuovi traguardi intellettuali: questa sarà adesso la scommessa con se stesso, la maniera di tenere deste e allenate le sue sinapsi cerebrali, fino al conseguimento di altre lauree!
Per questo, Giorgio continua a essere giovane di testa e di cuore, a partecipare attivamente all’UTL, l’Università del tempo libero, come alle varie edizioni del Premio Brignetti, da lui diretto. Perché la cultura apre orizzonti inediti allo spirito e percorrerne le innumerevoli strade equivale a un viaggio straordinario alla scoperta del mondo e di se stessi.
Maria Gisella Catuogno