Marianna Bigeschi nata Mazzinghi, Anna Montelatici nata Senno, Marianna Bigeschi nata Puccini, Domenica Daddi nata Gasparini, Elvira di Luigi Damiani, Eloisa Foresi nata Bracci sono le donne di Portoferraio che carte di archivio risalenti al 1859 hanno con chiarezza detto aver partecipato alla seconda guerra per la indipendenza d’Italia.
”Signore collettrici“ queste donne così sono chiamate da Squarci, gonfaloniere di Portoferraio.
“Signore collettrici“ per l’attività svolta nel raccogliere denaro per la guerra e garze per i soldati feriti.
La loro opera dimostra che la partecipazione femminile alla “causa nazionale” per il compimento della “impresa nazionale” - in questi termini era definito dai protagonisti di quella epoca quello che oggi è chiamato risorgimento - era molto diffusa e presente più di quanto parlino i libri di storia.
In questi libri, Cristina Trivulsio di Belgioioso è tra le donne più note che hanno legato il proprio nome alla storia d’Italia partecipando attivamente al risorgimento della nazione. Nel 1849, Cristina Belgiojoso Trivulsio (vedi foto di copertina) si ritrovò a Roma, in prima linea, nel corso della battaglia a difesa della Repubblica Romana, durata dal 9 febbraio al 4 luglio. A lei assegnarono l'organizzazione degli ospedali, compito difficile perché mancavano strumenti chirurgici ma che comunque assolse con dedizione e competenza, tanto da poter essere considerata come antesignana di Florence Nightingale ritenuta la fondatrice dell'assistenza infermieristica moderna.
La partecipazione femminile alle guerre di indipendenza, trova riconoscimento da parte di Bettino Ricasoli. Il 21 marzo 1860 si rivolge così alle donne di Toscana plaudendo alla loro azione nel conseguimento dell’unità nazionale.
“In tanto sommovimento di affetti generosi che si desta dalle Alpi alle ultime marine d’Italia, non poteva mancare la voce delle donne toscane a salutare il risorgimento della patria. Nei giorni delle battaglie esse palpitarono in silenzio sulla vita dei loro cari; quando i destini d’Italia pendevano incerti, esse incuorarono i mariti ed i figli nei gagliardi propositi; ora che siamo giunti alla meta dei comuni sforzi, esse vincono il pudore ed acclamano a viso aperto il nazionale riscatto.
La vostra parola, o donne gentili, io l’accolgo come concepimento di quella stupenda armonia di pensieri e di affetti che diede forza e bellezza alla nostra impresa. Non vi lagnate peraltro se a voi non fu concessa più larga partecipazione alla nuova vita nazionale. Ciascuno ha i suoi doveri e i suoi diritti, e quando tutti operano ordinatamente nella loro sfera di azione, i popoli si fanno capaci di cose grandi. Non è soltanto nei Comizi,nei Parlamenti ed in campo che si può giovare alla Patria.La famiglia è il fondamento dello Stato; in essa si formano i buoni cittadini, si cementa la concordia civile, si mantiene il fuoco sacro dei nobili affetti. Per gran tempo l’Italia fu un vano nome, perché mancavano gli italiani, cioè uomini che volessero una patria libera e gloriosa, e sapessero soffrire e morire per lei.
Oggi, dopo lunga vicenda di patimenti e di errori,tutti concordi e pronti ad ogni sacrificio di vita e di beni, vogliamo una patria che non sia mancipio dello straniero, e l’Italia è sorta nazione. Se a questo siamo giunti, è in gran parte opera vostra, o donne gentili; perché ogni lutto della patria ebbe le vostre lacrime, ogni atto magnanimo dei suoi figli il vostro plauso.
Continuate, o generose,in quest’opera eccitatrice di pubbliche virtù. La nostra impresa tocca un primo termine ma è ben lungi dal suo compimento. La generazione che sorge avrà il suo compito anch’essa, e forse non meno arduo del nostro. Educatela a questo avvenire non lontano, nella galiardìa del braccio, negli studi della mente, nell’austerità del costume.
Il focolare domestico sia scuola feconda d’ogni bell’opera, e non più dai settari, ma dalle madri apprendano i figli l’amore della patria.
Così gli uomini non mancheranno ai tempi; e se Roma pagana innalzò are alla Fortuna muliebre,noi illuminati dal Cristianesimo con maggior ragione onoreremo riconoscenti la muliebre virtù.
A dì 21 marzo 1860
Il presidente del Consiglio dei ministri
e ministro dell’Interno Bettino Ricasoli”
Queste righe sono prolungabili alle donne che in seguito, cinquantacinque anni dopo,bnella prima guerra mondiale (1915-18), ritenuta da molti storici come l’ultima risorgimentale per l’indipendenza d’Italia, hanno partecipato e si impegnarono attivamente: le “portatrici” carniche.
Le portatrici carniche furono quelle donne che nel corso della prima guerra mondiale operarono, lungo il fronte della Carnia.
Trasportavano con le loro gerle rifornimenti e munizioni fino alle prime linee italiane, dove combattevano i reparti alpini.
“Nella gerla hai portato la speranza che potesse finire presto la guerra, la speranza di poter dare un aiuto ed un conforto ai figli, ai fratelli, ai mariti in trincea, sui monti per amore di patria con il distintivo rosso dell’esercito al braccio piegata dal carico salendo e scendendo dalle cime, il passo ritmato da lacrime e canti piangendo e pregando, il peso della vita e della morte, sulle tue spalle sempre portando ar”.
(Monumento ai caduti per la patria nella prima guerra mondiale. Manifesto dedicato alle portatrici carniche di Cercivento. Comune di Cercivento. Carnia. Friuli Venezia Giulia)
Marcello Camici
Nelle foto:
- Cristina Trivulzio di Belgiojoso
- Alcune portatrici carniche di Lovea piccolo paese sul monte Sernio. Comune di Arta Terma, Carnia. Friuli Venezia Giulia