Pantera e vino da Marciana
L'oinochoe è una caraffa da vino, il nome greco è usato in archeologia come categoria di recipienti in ceramica, bucchero, bronzo e altri materiali, anche per i vasi non proprio greci.
Se dovessimo immaginare un nome etrusco sarebbe forse VINVMAIA, VINEIA, VINAIΘ, come da iscrizioni, o addirittura VINVXVI più alla lettera.
Nella foto due reperti trovati uno vicino all'altro sul Monte Giove* di Marciana nell'estesa area archeologica della Madonna del Monte. Sono stati definiti frammenti di oinochoe etrusca della seconda metà del sesto secolo (540-520 a. C.).
Sono conservati esposti in ripiano superiore della vetrina III della sala 1 del Museo di Marciana.
Sono tra gli ultimi reperti cronologicamente di quel sito, quindi contemporanei all'evento che ne determinó l'abbandono.
In un saggio accademico fu definito come "forse un covo di pirati populoniesi", con un'uscita a dir poco infelice.
Infatti, l'area archeologica della Madonna del Monte Giove, - che si estende a nord almeno fino al megalite dell'Omo, a sud nel collo della doppia vetta del Giove, a ovest su Serraventosa, ad est verso il Santuario e al masso dell'Aquila - riporta testimonianza di presenza umana almeno dall'età del bronzo, molto tempo prima che Populonia fosse fondata (da chi lo diremo altrove).
Gli abitanti di "Marciana Altissima" (area MdM succitata) avrebbero potuto anche essere pirati, cosí come lo erano in quell'epoca la gran parte degli aristocratici del mediterraneo, tirreni, etruschi, o achei come Ulisse che fossero. Essere chiamati "pirati" non era certo un dispregiativo, spesso piuttosto si accompagnava a talassocrati - signori del mare.
L'uso della parola "covo" è una gaffe anche per quanto la parola evoca in noi moderni. Mentre un Re di Ithaca o di Ilva che fosse, a casa sua aveva poco da nascondersi.
L'area era quindi una "città" (tecnicamente un insediamento, un abitato). I suoi signori (pirati o non pirati) nel 1100/1000 a. C. posseggono una collana d'ambra (che al tempo valeva più dell'oro) e un raffinatissimo specillum in bronzo pochi secoli dopo. Vasi in bucchero, ceramiche dipinte, bei vestiti (numerosi telai tessili), una splendida grattugia in bronzo, bigodini d'argento (in termini divulgativi) e molte altre testimonianze della loro secolare durata (fino al 539-535 aC) e della loro enorme ricchezza.
Per commerciare oggetti che arrivavano fin dal Po (molti elementi sono della stessa fattura del villanoviano bolognese, e i gioielli d'ambra lavorati a Vicenza).
Non è fantarcheologia frutto di orgoglio isolano e mistificazioni. Ci tengo a dirlo, e chi mi conosce sa che non sono un poeta creatore di miti, bensí un decostruttore di sistemi internamente incoerenti e delle loro pseudoverità.
Marciana Altissima merita l'interesse di grandi università, magari con la professionalità e imparzialità di stranieri, e i loro benedetti fondi.
* Monte Giove non puó essere toponimo derivato dal latino IVGVM, perché nei documenti in latino del medio evo si chiama IOVIS. È impensabile che si chiamasse IOVIS nel XIV secolo e IVGVM prima. Sarebbe una contraddizione assurda che in epoca di tirannia ideologica cristiana la Chiesa cambiasse il nome di un luogo da IVGUVM in IOVIS, quello che accadeva era invece l'esatto contrario, come per l'isola di Monte Cristo che prima si chiamava MONS IOVIS.