Dal Mar di Pisa in fino a qui ancora
tu truovi la Gorgona e la Caprara
Pianosa e dove Giglio fa dimora
L’Elba in fra l’altre vi par la più cara,
per Capolivro e ‘l porto di Ferrara.
dal ‘Dittamondo’ di Fazio degli Uberti, 1324
Particolare dalla Charta Pisana, metà del XIII secolo
Agli inizi del millennio, un grande sviluppo politico e culturale differenzia Pisa dalle altre città della Marca di Toscana. Tale indirizzo economico si rivolge soprattutto verso il mare. Lo storico tedesco Borchardt in ‘Solitudine di un Impero’ definisce Pisa, ‘novella Cartagine’ e ‘seconda Roma’. L’Elba può contare, grazie alle varie concessioni dell’Impero e del Papato, sin dagli albori della propria potenza, sul ferro e sul granito dell’isola d’Elba.
Nella prima metà dell’XI secolo, Pisa, sconfigge i Saraceni in Sicilia, in Calabria, in Sardegna, a Bona in Africa e ottiene grandi vittorie nelle spedizioni contro i regni musulmani nel Mediterraneo, che le permettono il controllo dei mari, fondamentale per la sua vocazione marinara e commerciale. Il ‘signum rubicundum’ la rossa bandiera della Repubblica innalzato sui pennoni delle navi pisane è conosciuto, rispettato e temuto in tutti i mari, allora conosciuti.
Torre d’avvistamento della Repubblica di Pisa
Sul dominio pisano sull’Elba, nel ‘Breve Consulum Pisane Civitatis’ del 1162 , si trova scritto:
“Septem consules qui populo Ylbano presint, ante Kalendas Maj, proximiores eligam vel eligere faciam, quos iurare faciam breve quod per Consules fuerit concordatum”. I sette consoli sono nominati dalle comunità di Rio e Grassula, Marciana e Jovis (Poggio), Campo, Ferraia, Pomonte e due da
Capolivri, (Capoliveri) sede di Capitanìa. In questi primi secoli, l’Elba ha la stessa forma di governo della Repubblica di Pisa con consoli elettivi nominati dalle sette comunità elbane: questa forma di amministrazione della cosa pubblica dura fino alla fine del XIII secolo, quando anche nell’isola è
nominato un solo Magistrato con ampi poteri amministrativi e militari. I ‘Brevi consolari’, tenuti di anno in anno, dei quali non sono rimaste che poche tracce riportate in documenti successivi, fanno riferimento a uno speciale reggimento amministrativo e politico dell’isola, mentre altri comuni della Toscana, sotto il vessillo pisano, non hanno quelle stesse forme di ‘autonomia’ e buon governo. Il periodo nel quale questo accade, è posteriore alla sconfitta della Meloria, 1284, quando cambiò l’indirizzo politico nei confronti dell’isola e delle antiche comunità elbane che non beneficiarono più di quelle forme di rappresentanza popolare. Così l’Elba divenne sede di ‘capitanìa’ il centro principale dell’isola a Capoliveri, soggetta, senza alcuna limitazione, al governo diretto della città di Pisa, in un sistema di controllo politico, militare, amministrativo e fiscale. Ciò è determinato alla particolare importanza strategica dell’Elba, ricca di ferro e di granito, ponte naturale fra la costa toscana e le grandi ‘sorelle’ di Corsica e Sardegna.
Nel suo complesso, le varie forme di amministrazione, che la repubblica ritenne di applicare, comportarono agli ‘Ylbani’, così erano definiti nei documenti, l’acquisizione di vita e di costumi urbani attraverso gli usi e le normative del Comune di Pisa.
Da alcuni documenti dei secoli successivi, XIII e XIV, testimoniano che al Capitano era riservato il potere giudiziario, che in genere egli esercita col consiglio di uomini ‘prudentes’ del luogo, scelti dagli Anziani di Pisa e dallo stesso Podestà. Dal 1303 al 1338 il Consiglio degli anziani annota i nomi dei Capitani dell’Elba, con il termine: ‘Capitanus Capolivri et aliarum terrarum’.
A Pisa, in quegli stessi anni, sentiti i ‘fabbricherii e la Comunità’, tenuto conto delle esigenze della corporazione dei produttori e venditori del ferro e della popolazione del versante minerario, si ritiene necessario la creazione dell’ufficio del ‘Doganiere’, da affiancare al Capitano, con funzioni di controllo sulla qualità e quantità delle lavorazioni e con mansioni di rappresentante del Comune pisano. Egli si occupa dal lato tecnico e amministrativo dell’esercizio delle miniere; dal 1320 il Capitano di ‘Grassula’ è incaricato della ‘Dogana della vena del ferro’, il controllo della produzione di minerale, della vendita e del controllo fiscale. Pisa mantiene il dominio sull’Elba dalla quale continua a ricevere notevole provento, ma essa subì le conseguenze del lento ma inesorabile declino della
Repubblica. Già lo storico Fortunato Pintor, a fine dell’Ottocento riporta alla luce documenti dagli Archivi pisani in cui le ‘lagnanze dei comunisti’ di Rio e Grassula sulla funzione del Doganiere e sul carattere eminentemente fiscale dell’ufficio. Gli abitanti delle comunità ferrifere inviano a più riprese ambasciatori a Pisa per esporre le loro lamentele sulle molestie che
il Doganiere arreca continuamente ai ‘condannati’, cioè a coloro in ritardo col pagamento dei vari dazi e gabelle.
Nel 1361, è descritto un notevole contrasto definito ‘non legittimo’ fra gli abitanti delle comunità elbane e il Podestà di Pisa con relativa ‘ambasceria’ agli Anziani di Pisa ‘per parte di Capoliveri’. Il Consiglio degli Anziani di Pisa si occupa di molti casi di rivendicazioni economiche, amministrative e fiscali, avanzate da quei piccoli ma determinati comuni della zona orientale dell’isola.
Sul commercio del ferro e sull’esercizio delle miniere Pisa cerca di applicare alcuni aspetti originali e singolari e tratta con metodi differenti la questione delle condizioni dei lavoranti e degli industriali: i ‘fabbricherii’. La Repubblica considera l’importanza del ferro elbano e salvaguarda i propri interessi economici e politici. È finito il periodo economico di benessere e si arriva ad adottare severe misure protezionistiche nei riguardi del commercio del ferro e a utilizzare il prezioso metallo come merce di scambio per ottenere concessioni sui commerci e sulle dogane. Il minerale di ferro, trasportato in Sicilia alla corte di re Corradino, è utile per ottenere particolari privilegi economici e politici. Pisa inoltre si premura che gli imperatori svevi confermino il possesso sull’Elba sin dal diploma di Ottone IV del 1209 e che i vari Pontefici che si succedono sul soglio di Pietro continuino a confermare la
concessione di tale diritto, riconoscendo alla città il grande merito di essere stata la ‘liberatrice’ dal giogo saraceno.
Pianta di Capoliveri dal Catasto lorenese del 1841
(Da notare la pianta della grande chiesa in stile romanico sotto l’attuale piazza Matteotti)
La gestione siderurgica ed estrattiva è affidata alle ‘Compagnie commerciali’ o ai ‘Banchi’, che anticipano i ‘denari’ alla Repubblica in cambio essa li nomina ‘Capitani e venditori della vena’: si tratta di rappresentanti di Società commerciali pisane, ma anche genovesi che con anticipi finanziari ottengono l’appalto sulle vene ferrifere.
Pisa favorisce tale sistema e tiene in considerazione i lavoratori del ferro: si arriva a sottrarre tutti i membri della corporazione dei ‘fabbri e fabbricherii’, al generale e severissimo divieto di vendere ‘ogni sorta di cereali’ con cui sono salariati: grano, orzo, legumi, vino e olio e altre vettovaglie di cui sono liberi di fare commercio con l’eccedenza dei loro consumi.
Altrettanto importante è il rapporto dei ‘fabbricherii’ con l’Arcivescovado e con l’amministrazione dell’Opera del Duomo. Una parte consistente del loro lavoro era destinato sin dai tempi remoto come donazione alla Chiesa primaziale di Pisa.
Un’ordinanza del 1095 promulgata da Daiberto Lanfranchi, Arcivescovo di Pisa dispone che i nomi di questi ‘oblatori’ Elbani fossero compresi nelle preghiere che si recitano in Duomo e che questi siano autorizzati a esercitare il proprio mestiere sia all’Elba sia a Pisa, colpendo di scomunica tutti quelli che li avessero in alcun modo molestati.
Si tratta di una ‘terza parte’ che era versata a favore della Curia arcivescovile quale antico diritto sulla proprietà delle miniere dovuta al lascito concesso da Carlo Magno a favore del Pontefice di Roma, agli inizi del IX secolo, quando il re dei Franchi liberò le isole tirreniche dall’influenza di Bisanzio e dalla pirateria musulmana, grazie alla potenza marittima della città di San Ranieri.
Anticamente questa offerta avviene annualmente con la donazione dei falconi da parte delle Comunità elbane al vescovo di Pisa, in segno di sudditanza e benemerenza, in un rapporto diretto fra Vescovo di Pisa e popolo elbano.
Altra grande impresa economica dell’Elba è quella delle cave il granito i cui documenti attestano che fin dall’anno 1018 ‘molte grandi colonne in granito, fine grigio’ servono per l’edificazione della fabbrica di San Michele in Borgo e nel 1063, sono lavorate per la fabbrica del Duomo di Pisa e poi ‘pel magnifico edifizio’ di San Giovanni Battista.
Di questa presenza del granito elbano nelle chiese pisane e del Contado ne danno testimonianza le alte e magnifiche colonne che adornano le più importanti chiese in tutti i territori della Toscana dove lo stile romanico pisano si accresce nei secoli dell’Alto e Medio evo.
Chiesa di Santo Stefano alle Trane, Portoferraio, perfetto esempio del romanico-pisano
Alessandro Canestrelli