Estratto dal capitolo 12 del libro di Michele Melis “L’amico rivale” in uscita il mese prossimo.
Era uno scozzo continuo e andava bene così, erano i favolosi anni Ottanta.
Ma un sentimento comune germogliò tanto spontaneo e un po’ tutti rasentavano bene bene spalle al muro perché erano convinti d’un sospetto fondato: tizio o caio, prima o poi, glielo avrebbe ponzato lì, dove non batte il sole.
Come in tutte le guerre che si rispettino, su tutti i fronti e senza esclusione di colpi, indebolire gli avversari valeva quanto rinforzarsi.
Riunione di Comitato di regata, poco prima di una gara a San Giovanni:
“Oggi pesamo le barche!”.
“O questa?”.
“A La Spezia le pesano, pesamole anche noi. E badate che devono esse’ centoventi chili schiantati, a chi è sottopeso gli s’aggiunge la zavorra”.
“Vai, vai, ‘un c’è problemi, piglia il cantaro!”.
“Eh? Io? Lo doveva portà lui”.
Lui fece cenno di no col capo.
Il classico dei quiproquo, sicché del cantaro nemmeno l’ombra. A qualcuno scappò un’acuta osservazione:
“O bravi! E allora? Con cosa le volemo pesà ‘ste barche? Con la fava?”.
“No! Le pesamo a occhio, che ci vòle?”.
Un’illuminazione.
Costituirono in quattro balletti un ristretto collegio dei probiviri che, tradotto in soldoni, funzionava in questo modo: le stesse persone sollevavano le barche una a una e di volta in volta stabilivano, qualora ritenessero la barca sottopeso, esattamente di quanto, e dunque la zavorra da applicare.
Così, con questa efficientissima procedura a sentimento.
Oreste prese subito fuoco e partì all’attacco: “Il Capo Bianco non si tocca, è centodiciotto chili, l’ho pesata e ve lo posso assicurà, c’ho anche il certificato di stazza. Metto io due chili e siamo a posto”.
Anche se non aveva con sé il certificato del Mori, gli credettero.
Andarono avanti con questa insindacabile pesatura – per la Bismark ad esempio fu una giacchettata, superò l’esame con la lode, ritenuta sovrappeso all’unanimità – finché arrivarono alla celeste barca del Grigolo.
“Boia! Com’è leggera”.
“Senti lì de’, da morì”.
“A questa gli ci va schioccato quell’affare laggiù”.
“O cosa? Il motore della lavatrice?”.
“Sì sì, vedrai gli ci vòle quel peso lì”.
Ma era pur sempre la barca di Gaetano, il carismatico e rispettatissimo Gaetano: macché.
I (falsi) probiviri, senza ritegno, gli vergarono come zavorra questo grosso e pesante motore di lavatrice abbandonato sulla spiaggia, mezzo rugginoso, che dovettero necessariamente imballare con una mezza dozzina di asciugamani, altrimenti, se putacaso in mare avesse sciabordato, avrebbe fracassato la barca.
Poi in gara – juniores, persa di un’inerzia – il motore con la maretta sciabordò davvero, ma non procurando evidenti danni allo scafo.
La volta successiva portarono il cantaro, che si fecero prestare dal Calistri il macellaio.
Tra i vari verdetti, risultò che il Capo Bianco pesava effettivamente 118 chili, la Bismark 135 e il Grigolo – attenzione – 123.
Michele Melis
La cerimonia di benedizione del Capo Bianco 2 nell’aprile 1982.
La Lega Navale I, la mitica “Bismark”, col suo equipaggio a San Giovanni. Da sinistra: Marco Sgherri, Alessandro Lenzi, Emanuele Covi, Alessandro Sale, Massimiliano Grilli.
La Lega Navale I, la mitica “Bismark”.
Gaetano con la sua barca e alcuni dei suoi ragazzi. In piedi da sinistra: Massimo Marti, Domenico Corsi, Alessandro Mazzei, Franco Miliani, Mauro Camporeale, Marco Sgherri, Alessandro Sale, Samuel Carnelos, Gaetano Donati. Accosciati: Simone Covi, Giuseppe Iannello, Massimiliano Grilli, Marco Dionigi, Riccardo Solari.
La barca del Grigolo, soprannominata “Dondolina”, perché se non ti sedevi subito, cascavi.
Nella foto di copertina: Pubblico che assiste ad una gara a San Giovanni