Per secoli la società elbana ha conosciuto afflussi di persone, soprattutto lavoratori, dal continente. Gli esempi sarebbero innumerevoli e riguardano ogni versante dell'isola. I più eclatanti sono quelli dello sviluppo delle marine, in gran parte dovuto all'arrivo di pescatori da altre parti d'Italia: è il caso di Marina di Campo la cui popolazione originaria è fondata in alta percentuale da immigrati campani, soprattutto ponzesi. Portoferraio raddoppiò i suoi abitanti in meno di vent'anni, dal 1900, grazie a maestraenze provenienti soprattutto dell'Appennino emiliano.
Viviamo dunque su un'isola in cui forse appena un quinto degli abitanti può vantare sangue elbano puro nelle ultime tre generazioni. Inoltre, come è stato appurato da anni, un'isola in cui la cultura è in grandissima parte tributaria di stilemi del Mezzogiorno d'Italia. È stata giustamente definita l'isola del sud più a nord d'Italia.
Questo dovrebbe portare gli elbani a un senso di inclusività innato. Ma spesso non è così. Una vena razzistica si è sempre insinuata nella nostra società. Piccoli episodi di esclusione, di parole irrispettose, di cattiverie, a cui siamo stati tutti testimoni, se non vittime o protagonisti. E qualche episodio è diventato pubblico:
https://www.iltirreno.it/piombino/cronaca/2015/09/04/news/il-mi-piace-del-sindaco-al-post-contro-i-negri-1.12037700
https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/25/elba-sindaci-allontano-famiglie-rom-aduc-denuncia-e-razzismo-istituzionale-fate-ferie-altrove/2929539/
Ma questa sottocultura non nasce oggi per caso: è figlia di ieri.
Hannah Arendt, nel suo “Le origini del totalitarismo”, dice, a proposito dell'antisemitismo, che esso esplode drammaticamente durante le crisi delle società, per affievolirsi e restare sottotraccia nei periodi floridi”.
Studiando la storia delle miniere isolane, ho potuto constatare lo stesso fenomeno: il razzismo, come altri aspetti deteriori del sentore elbano, esplodono durante gli scontri e le crisi più dure, per continuare a esistere a bassa intensità nei momenti di calma. Esaminiamo il caso.
Enrico Gelsi, operaio di Calamita, che in gioventù era stato emigrato in Australia e quindi sensibile a questo argomento, mi raccontava una cosa che lo colpiva per l'evidente contraddizione. Durante le discussioni politiche in cava, molti operai si accaloravano sul tema dei diritti civili negati ai neri statunitensi, schierandosi con loro senza riserve. Ma al contempo li sentiva manifestare un malcelato fastidio razzista contro immigrati del Sud Italia presenti all'Elba.
Ma era appunto durante i periodi di scontro sociale che l'insofferenza verso “l'altro” esplodeva con violenza. Nella seconda metà dell'Ottocento le tensioni tra cavatori elbani e domiciliati coatti erano frequenti. Certo, in ciò influiva un giustificato risentimento degli operai che si vedevano privare il lavoro e le fonti di sostentamento per le loro famiglie da un padronato spegiudicato e interessato al solo profitto. Ma la rabbia si concentrava spesso sul forestiero, reo di rubare il lavoro, nella più classica guerra tra i poveri. Così nel 1874 a farne le spese è un povero operaio coatto veneziano, aggredito dagli operai riesi, solo perché aveva protestato per ottenere la paga.
Un episodio molto grave avvenne il 23 agosto 1911, durante il grande sciopero di quell'anno, e a farne le spese è un gruppo di operai napoletani. Eccolo nelle parole di Alfonso Preziosi: “giunsero a Portoferraio da Bagnoli i due piroscafi “Intrepido” e “Selene” con una sessantina di operai venuti per conto della Società a caricare minerale e lingotti d'acciaio. Questi operai, recatisi alla Punta del Gallo per disormeggiare il veliero “Athos” carico di minerale, furono fatti segno ad una fitta sassaiola da parte degli scioperanti: l'armatore Arturo Penco, che dirigeva le operazioni, rimase ferito alla testa. Due giorni dopo il veliero “Athos” di cui il Penco era proprietario, fu trovato affondato. Successivamente il Penco mentre transitava sotto la fortezza denominata “Cornacchia” fu ferito ad un braccio da una pietra scagliatagli dall'alto”.
Ma questa insofferenza verso “l'altro” non era solo riservata ai forestieri.
Nel prossimo capitolo vedremo quando talvolta arrivò a colpire gli stessi elbani.
Andrea Galassi